Due giornalisti di "Repubblica" indagati per favoreggiamento alla mafia. Secondo il pm Del Bene la pubblicazione avrebbe aiutato Cosa nostra
Scoop dei pizzinicronisti sotto accusa
Ma il gip ha bocciato la richiesta dei pm per intercettare le loro telefonate
PALERMO - Indagati per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per aver pubblicato una serie di articoli sui "pizzini" e sull'archivio sequestrato ai boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo. La Direzione distrettuale antimafia di Palermo voleva intercettare le utenze telefoniche dei giornalisti di "Repubblica" Francesco Viviano ed Alessandra Ziniti e, per questo, dopo aver notificato loro un avviso di garanzia per violazione di segreto d'ufficio e aver perquisito la redazione di Palermo e le loro abitazioni, e disposto il sequestro dei loro computer e di quello del capo della redazione Enzo D'Antona, ha deciso di aprire un altro fascicolo riservato, con l'ipotesi di reato aggravata dall'agevolazione "oggettiva" e "soggettiva", cioè intenzionale, di favorire Cosa Nostra. Ma il gip Maria Pino ha rigettato la richiesta, ritenendo insussistenti tanto l'ipotesi di reato quanto gli estremi per eseguire l'intercettazione. La tesi secondo la quale la pubblicazione dei "pizzini" avrebbe favorito Cosa nostra, è stata sostenuta ieri dal pm Francesco Del Bene anche davanti al tribunale del riesame, dove si discuteva il ricorso presentato dai difensori di "Repubblica" contro il sequestro e la clonazione degli hard disk dei computer dei giornalisti. Il pm ha attribuito a "Repubblica" la responsabilità della latitanza dei tre sfuggiti alla cattura nel corso del blitz che la notte scorsa ha portato in carcere 29 esponenti del clan Lo Piccolo, trovati tutti nelle loro abitazioni, così come gli altri arrestati nei giorni scorsi. L'iniziativa della Procura diretta da Francesco Messineo ha destato preoccupazione e indignazione negli organismi di categoria. Il presidente dell'Ordine dei giornalisti Lorenzo Del Boca ha immediatamente chiesto un incontro urgente al vicepresidente del Csm Nicola Mancino. "È davvero urgente un provvedimento che faccia chiarezza su quali sono i limiti non già dei giornalisti, ma dei magistrati. Non basta più richiamare genericamente la legge e fantasiose ipotesi di reato dimenticando i doveri che dalla Costituzione derivano ai giornalisti.
Di questi doveri si è mostrato consapevole il vice presidente del Csm Nicola Mancino, quando ha chiarito che un giornalista ha il dovere di pubblicare le notizie delle quali entra in possesso. A Palermo c'è chi non la pensa così e si spinge fino a ipotizzare per due giornalisti di Repubblica l'ipotesi di favoreggiamento. È una ipotesi insultante per la storia professionale e personale di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti; un'ipotesi insultante per tutti i giornalisti siciliani i quali hanno duramente pagato il loro impegno di civiltà contro la mafia; è una ipotesi insultante per l'intero Ordine dei giornalisti". Di un "incredibile corto circuito tra informazione e magistratura" parla la Federazione nazionale della Stampa che ha chiesto un incontro a Csm e Associazione magistrati. "È inaccettabile - dice il sindacato dei giornalisti - che colleghi già sottoposti alle minacce della criminalità mafiosa debbano guardarsi le spalle persino da alcuni magistrati". Il segretario dell'Assostampa di Palermo Enrico Bellavia ha richiamato "l'intera categoria a una mobilitazione forte contro ogni tentativo di intimidirla e ridurla a un silenzio acquiescente o, peggio, vincolarla a visti di censura preventivi". Solidarietà a Francesco Viviano e Alessandra Ziniti dall'Unione cronisti che ha sottolineato la "carica di potenziale intimidazione" del capo di imputazione e dai comitati di redazione del "Giornale di Sicilia" e de "La Sicilia".
Scoop dei pizzinicronisti sotto accusa
Ma il gip ha bocciato la richiesta dei pm per intercettare le loro telefonate
PALERMO - Indagati per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per aver pubblicato una serie di articoli sui "pizzini" e sull'archivio sequestrato ai boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo. La Direzione distrettuale antimafia di Palermo voleva intercettare le utenze telefoniche dei giornalisti di "Repubblica" Francesco Viviano ed Alessandra Ziniti e, per questo, dopo aver notificato loro un avviso di garanzia per violazione di segreto d'ufficio e aver perquisito la redazione di Palermo e le loro abitazioni, e disposto il sequestro dei loro computer e di quello del capo della redazione Enzo D'Antona, ha deciso di aprire un altro fascicolo riservato, con l'ipotesi di reato aggravata dall'agevolazione "oggettiva" e "soggettiva", cioè intenzionale, di favorire Cosa Nostra. Ma il gip Maria Pino ha rigettato la richiesta, ritenendo insussistenti tanto l'ipotesi di reato quanto gli estremi per eseguire l'intercettazione. La tesi secondo la quale la pubblicazione dei "pizzini" avrebbe favorito Cosa nostra, è stata sostenuta ieri dal pm Francesco Del Bene anche davanti al tribunale del riesame, dove si discuteva il ricorso presentato dai difensori di "Repubblica" contro il sequestro e la clonazione degli hard disk dei computer dei giornalisti. Il pm ha attribuito a "Repubblica" la responsabilità della latitanza dei tre sfuggiti alla cattura nel corso del blitz che la notte scorsa ha portato in carcere 29 esponenti del clan Lo Piccolo, trovati tutti nelle loro abitazioni, così come gli altri arrestati nei giorni scorsi. L'iniziativa della Procura diretta da Francesco Messineo ha destato preoccupazione e indignazione negli organismi di categoria. Il presidente dell'Ordine dei giornalisti Lorenzo Del Boca ha immediatamente chiesto un incontro urgente al vicepresidente del Csm Nicola Mancino. "È davvero urgente un provvedimento che faccia chiarezza su quali sono i limiti non già dei giornalisti, ma dei magistrati. Non basta più richiamare genericamente la legge e fantasiose ipotesi di reato dimenticando i doveri che dalla Costituzione derivano ai giornalisti.
Di questi doveri si è mostrato consapevole il vice presidente del Csm Nicola Mancino, quando ha chiarito che un giornalista ha il dovere di pubblicare le notizie delle quali entra in possesso. A Palermo c'è chi non la pensa così e si spinge fino a ipotizzare per due giornalisti di Repubblica l'ipotesi di favoreggiamento. È una ipotesi insultante per la storia professionale e personale di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti; un'ipotesi insultante per tutti i giornalisti siciliani i quali hanno duramente pagato il loro impegno di civiltà contro la mafia; è una ipotesi insultante per l'intero Ordine dei giornalisti". Di un "incredibile corto circuito tra informazione e magistratura" parla la Federazione nazionale della Stampa che ha chiesto un incontro a Csm e Associazione magistrati. "È inaccettabile - dice il sindacato dei giornalisti - che colleghi già sottoposti alle minacce della criminalità mafiosa debbano guardarsi le spalle persino da alcuni magistrati". Il segretario dell'Assostampa di Palermo Enrico Bellavia ha richiamato "l'intera categoria a una mobilitazione forte contro ogni tentativo di intimidirla e ridurla a un silenzio acquiescente o, peggio, vincolarla a visti di censura preventivi". Solidarietà a Francesco Viviano e Alessandra Ziniti dall'Unione cronisti che ha sottolineato la "carica di potenziale intimidazione" del capo di imputazione e dai comitati di redazione del "Giornale di Sicilia" e de "La Sicilia".
Comunicato del Cdr
Il Comitato di redazione di Repubblica chiede al Consiglio superiore della magistratura di pronunciarsi sull'ultima, sconcertante, paradossale aggressione alla libertà di stampa. Magistrati che ipotizzano la volontà di favorire Cosa nostra da parte di due nostri colleghi, Francesco Viviano e Alessandra Ziniti, che hanno, semplicemente e come sempre, fatto il loro mestiere. E cioè pubblicato una notizia vera, dunque fatto un servizio all'opinione pubblica. Per questo servizio, i giornalisti hanno subito una vera e propria ritorsione senza precedenti, ossia un'accusa di favoreggiamento volontario della mafia, che il buon senso di un giudice ha ovviamente fermato. Fino a quando, ci dica ora il Csm, dare notizie comporterà il rischio di passare per pericolosi criminali?
(17 gennaio 2008) larepubblica.it
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