ANTONIO GRAMSCI
domenica 9 marzo 2008
GRAMSCI E L'ISTINTO DI RIBELLIONE
«Mio padre è di origine albanese recente (la famiglia scappò dall’Epiro dopo o durante le guerre del 1821 e si italianizzò rapidamente); mia nonna era una Gonzalez e discendeva da qualche famiglia italo-spagnola dell’Italia meridionale (come nerimasero tante dopo la cessazione del dominio spagnolo); mia madre è sarda per il padre e per la madre e la Sardegna fu unita al Piemonte solo nel 1847 dopo essere stata un feudo personale e un patrimonio dei principi piemontesi [...].La crisi in cui furono spietatamente gettate l’Italia meridionale e le isole con la guerra di tariffe franco-italiana è stata spaventosa[…]. L’isola di Sardegna fu letteralmente rasa al suolo come per una invasione barbarica; caddero le foreste - che ne regolavano ilclima e la media delle precipitazioni atmosferiche [...] e piovvero invece gli spogliatori di cadaveri che corruppero i costumi politicie la vita morale» (Uomini, idee, giornali e quattrini, «Avanti!» piemontese, 23 ottobre 1918).«Che cosa mi ha salvato dal diventare completamente un cencio inamidato? L’istinto della ribellione, ché da bambino ero contro i ricchi, perché non potevo studiare, io che avevo preso dieci in tutte le materie nelle scuole elementari, mentre andavano il figlio del macellaio, del farmacista, del negoziante di tessuti. Esso si allargò per tutti i ricchi che opprimevano i contadini sardi ed io pensavo allora che bisognava lottare per l’indipendenza nazionale della regione: "Al mare i continentali". Poi ho conosciuto la classe operaia di una città industriale e ho capito ciò che realmente significavano le cose di Marx che avevo letto prima per curiosità intellettuale» (Lettera a Giulia Schucht, 6 marzo 1924).«Ero invece un intrepido pioniere e non uscivo di casa senza avere in tasca dei chicchi di grano e dei fiammiferi avvolti inpezzettini di tela cerata, per il caso che potessi essere sbattuto in un'isola deserta e abbandonato ai miei soli mezzi. Ero poi un costruttore ardito di barche e di carretti» (Lettera a Giulia Schucht, I luglio 1929);«Ho incominciato a lavorare da quando avevo 11 anni, guadagnando ben 9 lire al mese [...] 10 ore al giorno compresa la mattina della domenica e me la passavo a smuovere registri che pesavano più di me e molte notti piangevo di nascosto perché mi doleva tutto il corpo (Lettera a Tatiana Schucht, 3 ottobre 1932).«Vorrei riuscire a comprendere se Ghilarza [...] ha la tendenza a diventare una città; se c'è maggiore commercio, qualche industria,se una parte della popolazione dalle tradizionali occupazioni rurali è passata ad occupazioni di altro genere, se c'è uno sviluppo edilizio» (Lettera alla madre, 23 settembre 1929).
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