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Ricevo e pubblico due interventi che contestano in modo netto l'indipendenza del "Kosovo". Ringrazio chi ha inviato questi interventi,perchè,nonostante A RARIKA sostiene da sempre il DIRITTO DELLA KOSOVA ALL'AUTODETERMINAZIONE,si riconosce a questo blog una natura libera e ostile alla censura. E, ai due interventi annunciati,di seguito,pubblichiamo un bellissimo articolo tratto dal sito ANTENNE DI PACE dal titolo "Nel Kossovo indipendente una stella anche per i Rom"...
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FORZA NUOVA
Kosovo: il terrorista diventa presidente
Per il Kosovo Tirana esulta; Pristina si divide tra gli applausi degli albanesi-kosovari e l’indignazione dei serbi; Washington incassa un risultato che gli è costato soldi e manovre geopolitiche al fine di disintegrare la Serbia; i terroristi dell’Uck alzano la testa e si fanno chiamare "ex guerriglieri" pur restando militanti di un’organizzazione militare con una struttura cellulare e territoriale, modellata sui clan albanesi; Belgrado prevede tempi duri e nuove guerre; Mosca insiste nelle trattative diplomatiche; l’Europa tace e acconsente e la Nato continua a tenere aperte le porte degli hangar. E così, sull’onda delle elezioni svoltesi in Kosovo in queste ultime ore, tornano in primo piano scenari difficili, per molti versi imprevedibili. Tutto avviene in seguito alla consultazione locale che - osteggiata dalla minoranza serba che si oppone ai progetti albanesi di proclamare l'indipendenza da Belgrado - ha visto la vittoria dell’uomo dell’Uck, Hashim Thaci, chiamato "serpente" perché non va per il sottile con nessuno.
Per il Kosovo Tirana esulta; Pristina si divide tra gli applausi degli albanesi-kosovari e l’indignazione dei serbi; Washington incassa un risultato che gli è costato soldi e manovre geopolitiche al fine di disintegrare la Serbia; i terroristi dell’Uck alzano la testa e si fanno chiamare "ex guerriglieri" pur restando militanti di un’organizzazione militare con una struttura cellulare e territoriale, modellata sui clan albanesi; Belgrado prevede tempi duri e nuove guerre; Mosca insiste nelle trattative diplomatiche; l’Europa tace e acconsente e la Nato continua a tenere aperte le porte degli hangar. E così, sull’onda delle elezioni svoltesi in Kosovo in queste ultime ore, tornano in primo piano scenari difficili, per molti versi imprevedibili. Tutto avviene in seguito alla consultazione locale che - osteggiata dalla minoranza serba che si oppone ai progetti albanesi di proclamare l'indipendenza da Belgrado - ha visto la vittoria dell’uomo dell’Uck, Hashim Thaci, chiamato "serpente" perché non va per il sottile con nessuno.
Elezione contestata e osteggiata, tutto sommato invalidata, pur se dalle urne è uscito un risultato che va oltre il 35% dei voti, superando per la prima volta dalla fine della guerra nel 1999 la Lega democratica degli eredi di Ibrahim Rugova. ?
Ed ora la parola è a Thaci, il terrorista dell’Uck che, forte della consultazione elettorale, punta a guidare l’intera regione verso l’indipendenza totale da Belgrado, cercando di formare un governo di coalizione inglobando la "Lega democratica" che fu di Rugova. Ma non è solo una questione di governo perché Thaci cerca di accelerare i tempi annunciando - con un processo di cicatrizzazione - che l’indipendenza del Kosovo sarà annunciata il 10 dicembre. C’è quindi una data ben precisa che dovrebbe segnare la nascita in Europa di una nuova nazione. Che sarebbe pur sempre un "satellite" dell’Albania e una sorta di "protettorato" americano. Thaci manda a dire all’occidente che con la sua vittoria "comincia il nuovo secolo". Non precisa quali saranno le strategie del paese e quali i rapporti che stabilirà in Europa. Ma è chiaro che si giungerà - stando anche alle bandiere americane esposte nel momento della vittoria elettorale - ad un Kosovo legato più che mai a Washington, quindi ben disposto ad ospitare basi militari per appoggiare il Pentagono nella sua escalation verso le aree dell’Iran e dell’Iraq. Si annunciano catastrofi storiche e politiche.Si sa, intanto, che la data del 10 dicembre rappresenta la scadenza delle trattative a oltranza fra serbi, albanesi e comunità internazionale per definire lo status della provincia. La maggioranza albanese vuole l’indipendenza subito e senza compromessi, ma la minoranza serba è pronta a opporsi con ogni mezzo a questa ipotesi. Thaci, comunque, prevede un futuro normale sostenendo anche che "i kosovari hanno mandato un messaggio al mondo, mostrando che siamo una società democratica, pronta a portare il nostro Paese nell’Unione Europea".La realtà è ben diversa e non si esclude che attorno al nodo dell’indipendenza si riaccenda il conflitto fra serbi e albanesi. Intanto Belgrado torna a farsi sentire dopo aver sollecitato i serbi kosovari a tenersi lontani dalle urne. Le accuse serbe sono rivolte in particolare agli americani, ritenuti da sempre colpevoli della guerra contro la Jugoslavia. La Casa Bianca - secondo la dirigenza serba - persegue ''una brutale politica di forza, apertamente ispirata alla disintegrazione della Serbia''. E Kostunica - l’attuale primo ministro che è stato l’uomo simbolo della rivolta contro il regime socialnazionalista di Slobodan Milosevic nel 2000 - interviene con una serie di dichiarazioni tese tutte a sollecitare l'orgoglio nazionale serbo. Arriva a dichiarare che quanto fatto da Washington nei confronti del Kosovo va considerato come "una provocazione". Non solo, ma Kostunica sostiene ora che "Gli Stati Uniti e la Nato bombardarono brutalmente e illegalmente la Serbia'' nel 1999 non già per fermare la repressione del regime di Milosevic in Kosovo, ma ''semplicemente per strappare alla Serbia il 15% del suo territorio''. ''La Serbia - torna ad ammonire Kostunica - non riconoscerà mai la costituzione di un'entità illegale sul proprio territorio e insisterà ogni giorno e in ogni angolo del mondo a ricordare che il Kosovo non può essere un trofeo di guerra della Nato. E che i confini riconosciuti di uno Stato sovrano sono destinati a restare immutati fino a quando esisterà la Carta dell'Onu''. E mentre il primo ministro ribadisce la linea della fermezza sulla questione kosovara il segretario del ministero per il Kosovo e Metohija nel governo di Serbia - Du?an Prorokovi? - rilancia un’ipotesi di trattativa precisando che i negoziati sulla soluzione dello status del Kosovo non hanno alternativa.Ma nello stesso tempo per Belgrado sembra annunciarsi un nuovo fronte, anche questo carico di incognite. Torna ad affacciarsi, infatti, sulla scena della geopolitica balcanica, la questione della regione della Vojvodina (21mila chilometri quadrati, con due milioni di abitanti) che si trova in Serbia, ma che è contesa da Budapest che insiste sulla forte presenza della popolazione magiara. L’intera zona - è noto - ha un carattere altamente strategico per Belgrado. Ha una posizione geografica che la pone al centro dell'Europa Sud-Orientale e di conseguenza come snodo di traffici fra il Nord e il Sud, l'Ovest e l'Est del continente. Da Novi Sad - capitale della Vojvodina - si raggiungono Trieste o Capodistria in sei ore, Budapest in tre, Vienna in cinque e Salonicco in otto, utilizzando percorsi interamente o quasi interamente autostradali…Ma oltre alle questioni di carattere "ambientale" e "logistico", per Belgrado il problema maggiore è che nella regione di Novi Sad la componente serba - pur essendo maggioritaria - si trova pur sempre a fare i conti con gli ungheresi e con le altre minoranze: slovacca, romena e rutena, quest’ultima originaria della Ucraina sub-carpatica. Il rischio è che nella Vojvodina prenda corpo un movimento secessionista alimentato dai nazionalisti di Budapest: per Belgrado si potrebbe aprire un nuovo e pericoloso fronte. Tanto più che a Novi Sad operano già attivamente formazioni neonaziste.C’è stato, in proposito, un fatto che ha messo la regione di confine al centro di scontri che il mondo serbo non intende sottovalutare. Tutto è avvenuto nelle settimane scorse quando la comunità islamica della Serbia si è spaccata in due blocchi alla vigilia del Bairam, la più importante festività dei musulmani; nel corso dei festeggiamenti ci sono stati seri incidenti durante alcune manifestazioni a Novi Sad.Per Belgrado la Vojvodina diviene così una regione a rischio. Tenendo anche conto del fatto che qui operano alcune Organizzazioni non governative, come l’Helsinki Committee for Human Rights, che percepiscono fondi e finanziamenti da parte di George Soros, banchiere e uomo di fiducia della famiglia Rothschild, nelle cui mani si accentrano numerose società e multinazionali che hanno colonizzato la Vojvodina. E sempre a Novi Sad ci sono forze che fomentano conflitti etnici e sociali, tanto che si arriva a pensare che la Vojvodina potrebbe rappresentare il Kosovo del futuro, essendo una terra di confine contesa da tempo con l'Ungheria e al cui interno si trovano, appunto, minoranze etniche pronte ad agire per rivendicare la propria indipendenza. E c’è anche dell’altro. E cioè che la Vojvodina, rientra nel "Progetto Danubio", promosso dalla stessa famiglia Rothschild per creare, insieme con Croazia, Ungheria e Romania, una sorta di Regione europea. Per raggiungere tale scopo sono da tempo iniziate le acquisizioni di cooperative agricole, raffinerie di zucchero, caseifici, raffinerie di petrolio e banche. Molti degli appezzamenti di terreno della Vojvodina sono stati acquistati da società croate: "Agrokor" ha acquistato "Dijamant" e "Frikom", il "Nekse Group" ha acquistato "Polet IGK", "Strazilovo" e alcune partecipazioni di "Toza Markovic", società per la produzione di materiali di costruzione. Anche Austria e Germania, stanno posizionando le loro società, come la tedesca "Nordzucker", la "Commerce MG" , "Stada" e "VAC" , mentre la "Austrian Erste Bank", insieme con la "OTC banking group and Metals bank" stanno prendendo il controllo di Novi Sad. Allo stesso tempo, si sta assistendo ad una massiccia penetrazione di società ungheresi in Serbia, grazie sempre all'intercessione dei Rothschild. Si è, forse, alla vigilia di nuovi sconvolgimenti nel cuore dell’Europa che potrebbero condizionare pesantemente il futuro.
www.forzanuova.org
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VENETO SERENISSIMO GOVERNO
Dipartimento lotta contro l´integralismo
Kosovo: il riconoscimento tra storia, tradizioni e terrorismo islamista.
A tre mesi dalla fatidica data del 17 febbraio 2008, che ha visto il parlamento di Pristina proclamare l’indipendenza della regione serba del Kosovo, solamente 40 stati, di cui 33 europei fra i quali 19 appartenenti all’Unione, hanno riconosciuto ufficialmente la nuova entità politica.
La maggior parte dei paesi non ritiene opportuno affrettare i tempi o si è dichiarata contraria allo stabilire regolari rapporti diplomatici con il nuovo stato.
Evidentemente i timori legati alla mutilazione arbitraria dello stato serbo, alla proclamazione unilaterale dribblando il diritto internazionale, nonché il deliberato insulto e la ferita inferta alla nazione serba che in quella terra ha avuto origine, hanno frenato le decisioni di molte cancellerie.
Il Veneto Serenissimo Governo, in quanto erede e continuatore della storia, cultura e tradizioni della Veneta Serenissima Repubblica, già da tempo ha espresso la propria assoluta contrarietà nei confronti dell’indipendenza kosovara, ricordando alla comunità internazionale che detto passo, oltre ad essere un’amputazione della Serbia ignorando le norme del diritto internazionale, rappresenta un gravissimo e deliberato attacco alle radici culturali e religiose europee e istituzionalizza una zona franca per terroristi e traffici illeciti che si consolida quale avamposto dell’islamismo in Europa.
Non sorprende la sollecitudine con cui il governo italiano allora in carica, grazie al fattivo contributo del ministro degli esteri Massimo D´Alema, ha provveduto, lo scorso 21 febbraio, al riconoscimento dello stato del Kosovo.
L’Italia, infatti, è sempre in prima linea nel momento in cui si tratta di avvallare violazioni del diritto internazionale e calpestare i diritti e le tradizioni dei popoli.
Si ricorda a tutte le diplomazie che gli ultimi regimi che hanno sostenuto l’esistenza di un fantomatico stato kosovaro sono stati le dittature fascista italiana (1941-1943) e nazista tedesca (1943-1945). Pertanto chiunque appoggi l’indipendenza del Kosovo si candida ad esserne legittimo erede.
Venezia, 16 maggio `08
Il responsabile Dip. lotta contro l’integralismo
Andrea Bonesso
Veneto Serenissimo Governo
Casella Postale 64
36022 Cassola (VI)
VENETO
pepiva@libero.it - kancelliere@katamail.it
Dipartimento lotta contro l´integralismo
Kosovo: il riconoscimento tra storia, tradizioni e terrorismo islamista.
A tre mesi dalla fatidica data del 17 febbraio 2008, che ha visto il parlamento di Pristina proclamare l’indipendenza della regione serba del Kosovo, solamente 40 stati, di cui 33 europei fra i quali 19 appartenenti all’Unione, hanno riconosciuto ufficialmente la nuova entità politica.
La maggior parte dei paesi non ritiene opportuno affrettare i tempi o si è dichiarata contraria allo stabilire regolari rapporti diplomatici con il nuovo stato.
Evidentemente i timori legati alla mutilazione arbitraria dello stato serbo, alla proclamazione unilaterale dribblando il diritto internazionale, nonché il deliberato insulto e la ferita inferta alla nazione serba che in quella terra ha avuto origine, hanno frenato le decisioni di molte cancellerie.
Il Veneto Serenissimo Governo, in quanto erede e continuatore della storia, cultura e tradizioni della Veneta Serenissima Repubblica, già da tempo ha espresso la propria assoluta contrarietà nei confronti dell’indipendenza kosovara, ricordando alla comunità internazionale che detto passo, oltre ad essere un’amputazione della Serbia ignorando le norme del diritto internazionale, rappresenta un gravissimo e deliberato attacco alle radici culturali e religiose europee e istituzionalizza una zona franca per terroristi e traffici illeciti che si consolida quale avamposto dell’islamismo in Europa.
Non sorprende la sollecitudine con cui il governo italiano allora in carica, grazie al fattivo contributo del ministro degli esteri Massimo D´Alema, ha provveduto, lo scorso 21 febbraio, al riconoscimento dello stato del Kosovo.
L’Italia, infatti, è sempre in prima linea nel momento in cui si tratta di avvallare violazioni del diritto internazionale e calpestare i diritti e le tradizioni dei popoli.
Si ricorda a tutte le diplomazie che gli ultimi regimi che hanno sostenuto l’esistenza di un fantomatico stato kosovaro sono stati le dittature fascista italiana (1941-1943) e nazista tedesca (1943-1945). Pertanto chiunque appoggi l’indipendenza del Kosovo si candida ad esserne legittimo erede.
Venezia, 16 maggio `08
Il responsabile Dip. lotta contro l’integralismo
Andrea Bonesso
Veneto Serenissimo Governo
Casella Postale 64
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VENETO
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Tel. 349 1847544
www.serenissimogoverno.org
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Nel Kossovo indipendente una stella anche per i Rom. Intervista a Gjyzel Shaljani
Le stelle sulla nuova bandiera del Kossovo includono anche i Rom.
Le stelle sulla nuova bandiera del Kossovo includono anche i Rom.
Il nuovo governo ha preparato un documento strategico per l'integrazione di Rom, Ashkali e Egypti che affronta: educazione, salute, affari sociali, lavoro, cultura. Le speranze di Gjyzel: Rom, impegnata nelle ONG e al Ministero dell'Educazione, intellettuale e attivista.
Sara Cossu e Nadja Rainer (Caschi Bianchi a Prizren, Kossovo) ...
Il nostro viaggio nell'altra faccia del Kossovo indipendente inizia a Koloni, nella periferia di Gjakova. Percorriamo una salita incorniciata da sporcizia e rifiuti e raggiungiamo una distesa dove vivono poco più di centocinquanta famiglie rom, piene di bambini che corrono scalzi con piedini neri di fango, qualche volta inciampando dentro scarpe da adulto lunghe il doppio dei loro passi, dove annegano gambe scarne e graffiate. I rom di Koloni vivono senza vestiti, senza cibo, senza acqua, senza elettricità, senza rete fognaria. I neonati non vengono registrati alla nascita. I matrimoni non sono ufficializzati. Le case di lamiere, eternit, plastica, neve, vento e pioggia che visitiamo accompagnante dal capo della comunità, sono circondate da distese d'immondizia. E non si tratta solo del ferro che per secoli i rom hanno lavorato e che ora raccolgono dai cassonetti per rivenderlo. Gjakova scarica parte dei suoi rifiuti in quelle lande kosovare senza benedizione.
I rom di Koloni vivono in un'enclave dimenticata, esattamente come tanti dei rom sparsi per un'Europa che propone al Kossovo modelli vincenti di politiche di rispetto delle minoranze e si fa portavoce di un senso civico dato per maturo, fondato spesso su troppe apparenze. A Koloni e in tanti insediamenti rom i diritti si nascondono dietro alibi e inadempienze, liquidati con un eterno capro espiatorio che su alcuni popoli è marchiato a fuoco, e che ricorre in Kossovo e ovunque i rom si spostino. I loro diritti sono condannati da chi sentenzia sempre la loro volontà di vivere in quella smisurata miseria; sono cancellati insieme alle colpe di chi fa di loro un popolo che nessuno potrà forse mai capire nel bisogno di libertà incondizionata, nella gestione ariosa degli spazi, delle strade da percorrere, dei confini e delle frontiere da varcare, nel rifiuto del nostro tempo postfordista che non dà spazio a chi non vuole o non si sa adeguare a ritmi stressati che ingoiano la vita.
A Koloni l'unico spazio dove i bambini hanno accesso ad una qualche "educazione" che non sia quella ricevuta in famiglia, è un edificio colorato costruito nel 2000 e mandato avanti con il sostegno di alcune organizzazioni internazionali. Lì prendiamo parte ad una mattinata dedicata all'importanza dell'igiene, in una stanzetta piccolissima dove si accalcano odori acri e nauseabondi e circa cinquanta bambini. E in quei corpicini sporchi, vestiti di cenci laceri, le manine che la maestra invita a lavare di continuo con filastrocche fatte di ripetuti Pastroj duart! Lava le mani!, diventano piccoli guanti di raso che non superano il polso ma che chiedono di poter stringere con dignità la mano di chiunque a questo mondo. E ti cedono volentieri un angolino per sederti anche tu, vicino a loro. Ti chiamano per nome, ti salutano divertiti e ti chiedono con gesti fantasiosi di trasformare i loro volti illuminati da occhi vivaci, in foto da portare dappertutto, per mostrare che in questo angolo di mondo dimenticato esistono anche loro.
Il centro si propone di fornire un'educazione che prepari i bambini alla scuola pubblica, offre sostegno psico-sociale all'intera comunità rom, educa all'igiene e alla salute, con grosse difficoltà legate alla carenza di materiale e strutture commisurate ai problemi. C'è anche una mensa dove possono ricevere un pasto solo centodieci bambini. Pochi rispetto a quelli che ne avrebbero realmente bisogno. Mancando un piano urbanistico per l'intera area, molti potenziali donors non si avventurano a finanziare l'ampliamento degli spazi da destinare a nuove attività.
Gjyzel Shaljani voleva che vedessimo tutto questo prima di concedersi alla nostra intervista. A Koloni tutti la conoscono. Le vanno incontro a decine e in pochi secondi è circondata da bambini, donne, anziani che le chiedono sostegno e aiuto. È una delle pochissime donne rom ad essere impegnata ad alti livelli, una di quelle che le grandi organizzazioni non dimenticano mai di invitare alle loro tavole rotonde. È una donna che difficilmente dimentichi: una manager delle battaglie di chi non ha diritti; una famosa intellettuale e attivista che parla inglese fluente, albanese, turco e serbo, e regala sorrisi e lacrime, le tante volte che si commuove. Tra una chiamata al cellulare ed una corsa sul taxi, non ferma le sue giornate se non a mezzanotte, dopo il lavoro come funzionaria al Ministero dell'Educazione, e il tempo che resta speso per la propria ONG. Pranziamo in un ristorante dove porta gli amici più cari. E dove cena con suo marito, un funzionario dell'ONU giunto in Kossovo dall'India, che ha sposato per amore e al quale ha dato una bambina che di lui ha preso la pelle scurissima e i capelli talmente neri da brillare.
Raccontaci qualcosa di te... cosa ti ha portato ad essere la donna che sei oggi?
Sara Cossu e Nadja Rainer (Caschi Bianchi a Prizren, Kossovo) ...
Il nostro viaggio nell'altra faccia del Kossovo indipendente inizia a Koloni, nella periferia di Gjakova. Percorriamo una salita incorniciata da sporcizia e rifiuti e raggiungiamo una distesa dove vivono poco più di centocinquanta famiglie rom, piene di bambini che corrono scalzi con piedini neri di fango, qualche volta inciampando dentro scarpe da adulto lunghe il doppio dei loro passi, dove annegano gambe scarne e graffiate. I rom di Koloni vivono senza vestiti, senza cibo, senza acqua, senza elettricità, senza rete fognaria. I neonati non vengono registrati alla nascita. I matrimoni non sono ufficializzati. Le case di lamiere, eternit, plastica, neve, vento e pioggia che visitiamo accompagnante dal capo della comunità, sono circondate da distese d'immondizia. E non si tratta solo del ferro che per secoli i rom hanno lavorato e che ora raccolgono dai cassonetti per rivenderlo. Gjakova scarica parte dei suoi rifiuti in quelle lande kosovare senza benedizione.
I rom di Koloni vivono in un'enclave dimenticata, esattamente come tanti dei rom sparsi per un'Europa che propone al Kossovo modelli vincenti di politiche di rispetto delle minoranze e si fa portavoce di un senso civico dato per maturo, fondato spesso su troppe apparenze. A Koloni e in tanti insediamenti rom i diritti si nascondono dietro alibi e inadempienze, liquidati con un eterno capro espiatorio che su alcuni popoli è marchiato a fuoco, e che ricorre in Kossovo e ovunque i rom si spostino. I loro diritti sono condannati da chi sentenzia sempre la loro volontà di vivere in quella smisurata miseria; sono cancellati insieme alle colpe di chi fa di loro un popolo che nessuno potrà forse mai capire nel bisogno di libertà incondizionata, nella gestione ariosa degli spazi, delle strade da percorrere, dei confini e delle frontiere da varcare, nel rifiuto del nostro tempo postfordista che non dà spazio a chi non vuole o non si sa adeguare a ritmi stressati che ingoiano la vita.
A Koloni l'unico spazio dove i bambini hanno accesso ad una qualche "educazione" che non sia quella ricevuta in famiglia, è un edificio colorato costruito nel 2000 e mandato avanti con il sostegno di alcune organizzazioni internazionali. Lì prendiamo parte ad una mattinata dedicata all'importanza dell'igiene, in una stanzetta piccolissima dove si accalcano odori acri e nauseabondi e circa cinquanta bambini. E in quei corpicini sporchi, vestiti di cenci laceri, le manine che la maestra invita a lavare di continuo con filastrocche fatte di ripetuti Pastroj duart! Lava le mani!, diventano piccoli guanti di raso che non superano il polso ma che chiedono di poter stringere con dignità la mano di chiunque a questo mondo. E ti cedono volentieri un angolino per sederti anche tu, vicino a loro. Ti chiamano per nome, ti salutano divertiti e ti chiedono con gesti fantasiosi di trasformare i loro volti illuminati da occhi vivaci, in foto da portare dappertutto, per mostrare che in questo angolo di mondo dimenticato esistono anche loro.
Il centro si propone di fornire un'educazione che prepari i bambini alla scuola pubblica, offre sostegno psico-sociale all'intera comunità rom, educa all'igiene e alla salute, con grosse difficoltà legate alla carenza di materiale e strutture commisurate ai problemi. C'è anche una mensa dove possono ricevere un pasto solo centodieci bambini. Pochi rispetto a quelli che ne avrebbero realmente bisogno. Mancando un piano urbanistico per l'intera area, molti potenziali donors non si avventurano a finanziare l'ampliamento degli spazi da destinare a nuove attività.
Gjyzel Shaljani voleva che vedessimo tutto questo prima di concedersi alla nostra intervista. A Koloni tutti la conoscono. Le vanno incontro a decine e in pochi secondi è circondata da bambini, donne, anziani che le chiedono sostegno e aiuto. È una delle pochissime donne rom ad essere impegnata ad alti livelli, una di quelle che le grandi organizzazioni non dimenticano mai di invitare alle loro tavole rotonde. È una donna che difficilmente dimentichi: una manager delle battaglie di chi non ha diritti; una famosa intellettuale e attivista che parla inglese fluente, albanese, turco e serbo, e regala sorrisi e lacrime, le tante volte che si commuove. Tra una chiamata al cellulare ed una corsa sul taxi, non ferma le sue giornate se non a mezzanotte, dopo il lavoro come funzionaria al Ministero dell'Educazione, e il tempo che resta speso per la propria ONG. Pranziamo in un ristorante dove porta gli amici più cari. E dove cena con suo marito, un funzionario dell'ONU giunto in Kossovo dall'India, che ha sposato per amore e al quale ha dato una bambina che di lui ha preso la pelle scurissima e i capelli talmente neri da brillare.
Raccontaci qualcosa di te... cosa ti ha portato ad essere la donna che sei oggi?
Quando ero piccola mia madre un giorno mi disse: "Sono un'insegnante, tuo padre è un coreografo. Tu vuoi fare la domestica? Ebbene, se non vuoi, devi andare a scuola. Altrimenti, se non ti va, ti dico: Fai come vuoi, pulisci e fai la serva tutta la vita!". E io scelsi di andare a scuola. Noi siamo stati sempre una famiglia integrata. Mio padre nel 1964 si rivolse alla municipalità di Prizren, acquistò un terreno e ci costruì sopra una casa. Io avevo due anni allora. I miei genitori erano entrambi poverissimi e sono riusciti a costruire il nostro futuro. Le scuole superiori le ho frequentate a Zagabe e a Belgrado e in questa città mi sono laureata in microbiologia molecolare. Io so che cos'è il razzismo. "Sei rom!", mi dicevano a scuola con disprezzo. Lavoro come un robot per dare al mio popolo condizioni di vita migliori, preparando progetti da presentare a ONG e organizzazioni internazionali che possano ascoltare la voce dei rom in Kossovo.
La tua gente, il tuo popolo, la tua comunità... chi sono?
La tua gente, il tuo popolo, la tua comunità... chi sono?
I rom sono partiti dall'India circa 1000 anni fa e sono giunti nei Balcani 300 anni dopo, attraversando il Pakistan, la Turchia, l'Egitto, l'Iran. Si spostano... L'hanno sempre fatto. Appena scoppiava una crisi, una guerra, andavano via. Desideravano vivere in pace, non in mezzo ai conflitti. E ovunque sono stati, la discriminazione li ha colpiti. Ci sono circa 5500 rom a Prizren, 300.000 nella ex Jugoslavia. Per i rom il grande problema è l'educazione. Essendo analfabeti, i rom non trovano lavoro. E il lavoro diventa l'altro grandissimo problema.
Come convincere le famiglie dell'importanza dell'educazione?
"Chi sei tu per dirmi che devo mandare mio figlio a scuola?
Chi mi da i soldi per comprare libri, quaderni e vestiti?".
Questo è ciò che mi chiedono. Molti genitori trovano mille scuse o verità: dicono che hanno paura che i bambini vadano a piedi fino alla scuola più vicina perché temono le auto.
Ma la triste verità è che moltissimi minori in età scolare vengono assoldati dalle loro stesse famiglie per raccogliere l'alluminio nei cassonetti dell'immondizia. E quei cassonetti sono più lontani della scuola. Altri non li mandano perché non hanno i soldi per comprare vestiti, borse e il materiale che occorre.
Come si concretizza il tuo impegno per la tua gente?
Come si concretizza il tuo impegno per la tua gente?
Coordino un'ONG, Foleja, fondata nel 2005 che ha sede a Prizren. Ha già portato a termine 8 progetti sull'educazione all'igiene, sui diritti delle donne rom, ashkali ed egypti. Lavoro nel weekend nella nostra sede e organizzo training rivolti alle mamme e ai loro bambini. Arrivano tantissimi rom a chiedere aiuto per risolvere gravi problemi di fronte ai quali purtroppo mi trovo del tutto disarmata. Posso fornire i contatti delle istituzioni che si occupano nello specifico di quei problemi, con la speranza che qualcuno si occupi di loro. Sono le istituzioni che per prime devono assicurare i diritti e i servizi alle persone in difficoltà. Le NGO dei rom sparse per il mondo purtroppo non hanno tanti contatti l'una con l'altra. Mi piacerebbe creare un network. Dobbiamo lavorare insieme, senza paura di condividere le poche risorse. Dobbiamo impegnarci per dire "No! Basta! Siamo poveri ma non siamo animali. La mia pelle è scura ma non sono diverso da te. Ho la lingua per parlare. Sono un essere umano anch'io!".
Il Kossovo indipendente è un neoStato multietnico. Che importanza ha essere rappresentati da una delle sei stelline nella nuova bandiera, insieme agli albanesi, ai serbi, ai turchi, ai bosgnacchi e ai gorani(1)?
Il Kossovo indipendente è un neoStato multietnico. Che importanza ha essere rappresentati da una delle sei stelline nella nuova bandiera, insieme agli albanesi, ai serbi, ai turchi, ai bosgnacchi e ai gorani(1)?
Il Kossovo è sempre stato multietnico! Non è di certo una novità! Al suo interno siamo stati una comunità purtroppo troppo spesso manipolata. I rom si sono sempre occupati di lavori faticosi, fisici. Sono sempre stati domestici, servi. Ora dobbiamo migliorare la nostra condizione ma la transizione sarà difficile: come integrarsi? Come incominciare? Da dove? Sono parecchio preoccupata per il futuro. Con l'indipendenza cambierà qualcosa per le comunità più fragili solo se gli internazionali continueranno a monitorare la situazione. Ora siamo uno Stato indipendente. Ma nessuno parla delle condizioni in cui vivono i rom, della loro povertà. Uno Stato è multietnico se tutti hanno pari diritti. I rom non hanno lavoro, non vanno a scuola, vivono condizioni di vita terribili. Non sono integrati come altre comunità. Si deve cercare una formula reale d'integrazione. Se non abbiamo il cibo, se non abbiamo il lavoro per comprare il pane, sarà la selezione biologica ad uccidere questo popolo affamato. Rom, egypti e ashkali... siamo un unico popolo. La stella sulla bandiera è importantissima. Significa riconoscere che anche noi esistiamo. Il Governo ha promesso che farà tanto per le minoranze. Per queste sei stelle. Ha preparato un documento strategico per l'integrazione di rom, ashkali e egypti che affronta sette tematiche: educazione, salute, affari sociali, lavoro, cultura, diritti delle donne. I rom si aspettano che si faccia di più per loro, perché siano integrati quanto le altre minoranze. Aspettiamo che tale documento venga implementato, e siamo pronti a cooperare in maniera attiva con le istituzione e con gli attori internazionali per cambiare lo stato attuale delle cose.
Note:
1. Gorani: gruppo etnico di origine slava che vive tra l'Albania, la Macedonia ed il Kossovo meridionale. Bosgnacchi : popolazione slava presente in Bosnia Herzegovina, Kosovo, Serbia e Montenegro.
http://www.antennedipace.org
Note:
1. Gorani: gruppo etnico di origine slava che vive tra l'Albania, la Macedonia ed il Kossovo meridionale. Bosgnacchi : popolazione slava presente in Bosnia Herzegovina, Kosovo, Serbia e Montenegro.
http://www.antennedipace.org
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