martedì 8 gennaio 2008

A 15 anni dall'uccisione del giornalista Beppe Alfano

Lettera aperta di Sonia Alfano
Martedì 8 gennaio ricorre il quindicesimo anniversario della morte di mio padre, Beppe Alfano (nella foto,ndr),giornalista ucciso l'8 gennaio 1993 in pieno centro a Barcellona Pozzo di Gotto.
Già da diversi anni organizzo per l'anniversario di mio padre un dibattito, per contribuire non solo a tenere vivo il suo ricordo, ma soprattutto per cercare di fare il punto sulla sua morte e per denunciare ciò che può sembrare una situazione immobile e che in realtà è a regime e in pieno fermento. Solo chi ha interesse a far proliferare la mafia e i suoi interessi può continuare ad affermare che a Barcellona non c'è mafia, ma casomai comune criminalità diffusa!
E così, anche quest'anno, ho cominciato ad organizzare qualcosa che potesse vedere i giovani protagonisti; ho chiesto la concessione dell'utilizzo del Palasport, con l'obiettivo di invitare tutti gli studenti barcellonesi, dal momento che sono ancora tra i pochi in Italia a non conoscere la storia di mio padre. E non per colpa loro.
Ho contattato tutti i presidi degli istituti superiori barcellonesi, ed è stato molto difficile parlarci, tra segreterie, impegni vari o molto più semplicemente: "Il dirigente non è in sede". Finalmente con alcuni presidi riesco a parlare e si rimane d'accordo, previo invio di e mail da parte mia, che comunque manderanno una delegazione di studenti. Con altri presidi, due in particolare, la situazione si mette male sin dall'inizio; da subito percepisco una palese ostilità, ma faccio finta di nulla, perchè l'unica cosa che mi interessa è avere gli studenti al Palasport. Così, faccio presente ai due presidi che quel giorno a parlare di mafia con gli studenti ci saranno, tra gli altri, Salvatore Borsellino, Rosanna Scopelliti, Enzo Agostino, Benny Calasanzio, Piero Campagna, Angelina Manca, tutti familiari di vittime della mafia, persone che sulla propria pelle hanno pagato l'impunità e la crudeltà della mafia. Ho anche detto che ci sarebbero stati Beppe Fiorello e Graziano Diana, insomma, tutti gli ingredienti per poter dire le cose come stanno, per dare ai giovani la possibilità di capire quanto sia forte più che mai la mafia e quanto sia necessario essere uniti nella lotta alla mafia. Non sono neanche riuscita a finire di esprimere il concetto che la risposta è stata: "Guardi, è inutile, non avrebbe senso far perdere una mattinata di lezioni, per buttare i ragazzi al Palasport a scherzare e ridere, perchè tanto questo farebbero, non gliene frega niente di tutto quello di cui lei sta parlando, e poi hanno già perso tante lezioni per andare al cinema o per la fiera sull'orientamento". Io allora ho risposto che era terribile ciò che mi stava dicendo, che è assurdo, per lo stesso principio, pagare gli autobus il 23 maggio per portare i ragazzi a Palermo per la commemorazione di Falcone e non mandarli al Palasport per la commemorazione di un barcellonese ucciso perchè ha ostacolato la mafia e che tra l'altro è sconosciuto ai ragazzi di Barcellona, soprattutto per colpa delle istituzioni, prime fra tutte quelle scolastiche, che forse, prima di raccontare ciò che è successo a Palermo, dovrebbero dire loro cosa è successo a Barcellona nel 1993 ad Alfano.
Il preside torna alla carica e aggiunge: "Ma guardi, è vero che qui di suo padre non se ne parla, ma lei deve anche capire che suo padre e Falcone appartengono a due contesti diversi, e poi a tutti fa piacere mettersi in mostra il 23 maggio, c'è tanta attenzione mediatica!"
A quel punto, davanti a tanta ignoranza e arroganza, non c'era più nulla da dire: mi sentivo come una venditrice che cerca di convincere ad acquistare il proprio prodotto e così ci siamo salutati senza aggiungere altro. L'unica amara riflessione è stata quella riferita al futuro dei giovani barcellonesi e al servizio che la scuola offre, la fiducia e la stima che i docenti hanno nei loro studenti. Io sono convinta che se quei ragazzi potessero venire al Palasport non starebbero né a ridere, né a scherzare, ma anzi cercherebbero di far tesoro di ciò che potrebbero sentire. Io credo e spero che se l'8 gennaio Voi studenti non autorizzati doveste comunque venire al Palasport per ricordare Beppe Alfano, nessun preside prenderebbe provvedimenti, e sicuramente non lo farebbero neanche i vostri genitori. Di certo ci fareste sentire meno soli in un giorno che è triste nella nostra memoria, ma che può diventare di condivisione e di gioia nel vedere tanti ragazzi parlare di come dire no alla mafia. Siate voi i protagonisti dell'8 gennaio 2008.
Sonia Alfano

MAFIA/ LUMIA (PD): SU OMICIDIO ALFANO ANCORA POCA CHIAREZZA
"Per rendere onore non basta la ritualità delle commemorazioni"
Messina, 7 gen. (Apcom) - Non basta "la ritualità" delle commemorazioni, secondo il deputato del Pd Giuseppe Lumia, per "rendere veramente onore ad un giornalista coraggioso e con la schiena dritta, quale fu Beppe Alfano".
Nel ricordare l'omicidio del giornalista del quotidiano "La Sicilia", ucciso 15 anni fa, l'8 gennaio del 1993, in un agguato mafioso a Barcellona Pozzo di Gotto, nel messinese, il parlamentare, membro della Commissione antimafia, ricorda che il vero impegno piuttosto "deve essere quello di fare piena chiarezza sul contesto in cui maturò il suo omicidio".
Bisogna quindi, per Lumia, fare luce "sulle inconfessabili alleanze che lo resero possibile e sui mandanti che lo ordinarono", dopo tanti anni ancora ignoti.


MA CHI SONO I MANDANTI?
Il corpo di Beppe viene trovato intorno alle 22,30, al posto di guida della sua Renault, accostata nella centrale via Marconi, a pochi passi da casa sua. L’auto ha ancora le luci accese e il cambio in folle. Il finestrino, attraverso il quale sono stati sparati i tre colpi di pistola, è abbassato, come se l’uomo stesse parlando con qualcuno. Alfano aveva 42 anni, era professore di educazione tecnica alla scuola media della vicina Terme Vigliatore, ma, soprattutto, era un collaboratore del quotidiano "La Sicilia" di Catania.Dopo averne eseguito la condanna a morte, la mafia ha cercato di distruggere anche la sua memoria. Perché anche il semplice ricordo di un uomo coraggioso può essere pericoloso per i boss. Ed ecco, allora, i tentativi di depistare le indagini, di negare la matrice mafiosa del delitto anche, se necessario, infangando la figura del professore. Il silenzio che cala intorno alla sua storia. L’isolamento in cui viene abbandonata la sua famiglia. Tacciono le istituzioni, ma tacciono anche quelli che erano stati vicini al giornalista prima della sua morte. Dagli ex compagni di partito dell’Msi ai colleghi del giornale La Sicilia. Fin quando, grazie alle battaglie condotte dalla figlia Sonia, con il sostegno dell’avvocato Fabio Repici e di sempre più numerosi cittadini, le indagini sull’omicidio vengono riaperte e il sacrificio di Alfano per la verità e la giustizia comincia ad essere riconosciuto, da Barcellona, alla Sicilia, all’Italia.

Il mandante del delitto resta ancora ignoto.. Secondo un’ipotesi, il giornalista avrebbe scoperto che il capo mafia catanese,allora latitante, Nitto Santapaola si nascondeva a Barcellona, in una casa nella stessa strada in cui abitava Alfano. E, forse, avrebbe contribuito alla sua cattura, collaborando con la magistratura. Oppure, a condannarlo a morte potrebbe essere stata l’inchiesta che stava conducendo su un traffico internazionale di armi e uranio.Ma c’è un’altra ipotesi, ancora più misteriosa e inquietante. Quella che scaturisce dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Avola, ex killer di Cosa Nostra, che ha svelato i nomi dei personaggi che stanno dietro le stragi del ’92-’93 e ha confessato, tra l’altro, di aver assassinato anche il giornalista Giuseppe Fava. "Il vero mandante dell’omicidio di Beppe Alfano – dice il pentito ai pubblici ministeri di Catania, Amedeo Bertone e Nicolò Marino – si chiama Giuseppe Sindoni ed è un potente massone, che conosce tutta la magistratura corrotta, ha importanti amicizie al Ministero e un po’ ovunque". "Il giornalista – aggiunge Avola - aveva capito chi era il vero boss nella sua zona e che amicizie avesse, un vero intoccabile". Inizialmente, interrogato dai pm di Messina, il pentito aveva però accusato il solo Gullotti, tacendo su Sindoni. Avola spiega così la nuova versione dei fatti: "Ho svelato solo ora i nomi dei veri mandanti perché prima era pericoloso, la massoneria è una cosa che meno si tocca e più tranquilli si sta, perché ha amicizie un po’ in tutti i posti". "Esiste una super-loggia, una sorta di nuova P2, che ha deciso certe cose in Italia – prosegue il collaboratore di giustizia - non ho raccontato questa verità ai giudici di Messina perché sapevo che Sindoni è amico di alcuni magistrati corrotti, i miei interlocutori sono i giudici della Dda di Catania". Racconta Avola: "In un primo tempo dovevo preparare proprio io l’omicidio di Alfano. Marcello D’Agata mi bloccò, dicendomi che ci avrebbero pensato i barcellonesi, Pippo Gullotti e Giovanni Sindoni. Anche i killer sono del luogo. Due, di cui uno di copertura".Il massone di cui parla il pentito sarebbe stato così potente, che i Santapaola sarebbero stati quasi costretti ad accettare il delitto, nonostante fosse chiaro che uccidere un giornalista proprio a Barcellona, dove si nascondeva il capomafia latitante, sarebbe stato "come mettergli l’esercito dietro la casa": "La famiglia Santapaola ha dato l’assenso, il periodo non era quella giusto per fare questo omicidio, però chi era il personaggio gli si doveva fare".Parlando di Sindoni, Avola denuncia "tantissimi giri di soldi, insieme ai Santapaola, ai barcellonesi, ai messinesi, nel traffico delle arance". E Beppe Alfano potrebbe proprio avere scoperto, dietro il mercato degli agrumi, le truffe per impadronirsi delle sovvenzioni dell’Unione Europea, le società fantasma, le false fatturazioni, un sistema di riciclaggio del denaro sporco, nel quale sarebbero stati coinvolti mafiosi, insospettabili imprenditori ed elementi della massoneria locali.La versione di Avola viene ritenuta attendibile anche da Valeria Scafetta, autrice del libro-inchiesta "Ammazzate Beppe Alfano-La storia di un giornalista sconosciuto" (Nuova Iniziativa Editoriale, 2005): "Si era avvicinato ad accusare qualcuno che veniva considerato, e forse viene tuttora ritenuto, un intoccabile".Nonostante la recente condanna di uno degli esecutori materiali del delitto, il caso Alfano resta quindi ancora aperto. L’avvocato di parte civile Fabio Repici ha più volte invitato la magistratura a "decidersi a colpire le responsabilità dei mandanti dell’omicidio appartenenti al terzo livello della mafia barcellonese, partendo dalle rivelazioni del pentito Avola". Mentre Sonia Alfano assicura che concentrerà tutte le sue forze per "far luce sui mandanti occulti, che finora non sono stati mai sfiorati dall’attività giudiziaria".

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