giovedì 13 marzo 2008

LA QUESTIONE ROMAGNOLA.

Ricevo e pubblico...
Trascrivo di seguito due articoli apparsi il 7 e l'11 marzo sul "Corriere" e "La Voce". Cordiali saluti.
Bruno Castagnoli
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Dal Corriere di Romagna di Venerdì 7 marzo 2008
Torniamo a parlare di Regione Romagna

di Riccardo Chiesa*
Mentre nei partiti si lotta per ottenere le candidature e fra i partiti si affilano le armi (ovviamente in senso figurato) per la contesa elettorale, i Comitati comunali del Mar stanno scegliendo i delegati che dovranno partecipare alla assemblea del Movimento di fine marzo. Sono due mondi completamente diversi: sempre sulle prime pagine dei giornali e dei notiziari quello politico, silenzioso, ma tenace ed inossidabile quello del Mar. I politici chiedono di essere eletti per potere governare in nome della gente; i romagnolisti chiedono ai politici di dare la parola alla gente (in nome della quale chiedono di potere governare) per sapere, dal popolo sovrano, se i romagnoli vogliono o meno che la loro terra diventi la 21^ Regione italiana. Da tempo, in Italia, si invocano referendum (a torto o a ragione) ad ogni piè sospinto, tanto che sembra ormai che tutti abbiano ragione o motivo per chiederlo, eccetto i romagnoli. Stante l’ostruzionismo dei Consigli comunali della Romagna (ai quali secondo l’art. 132 della Costituzione, spetta la richiesta di referendum per una nuova Regione), il precedente governo di centro-destra, per la verità, aveva introdotto una norma transitoria, che consentiva una via alternativa alla richiesta dei Consigli comunali, ma tale norma, inserita nella devolution, è stata annullata, con l’intera devoluzione, dal successivo referendum popolare. Dire, come ha fatto qualcuno, che gli italiani, con quel referendum, hanno inteso affossare l’aspirazione autonomistica dei romagnoli, mi sembra piuttosto superficiale e ridicolo, posto che la devoluzione comportava la modifica di decine e decine di articoli della Costituzione e non si può certo pensare che i lombardi o i calabresi, i piemontesi o i siciliani avessero in mente il problema dell’autonomia della Romagna quando scrivevano no sulla scheda referendaria. A questo punto, il Mar crede fermamente che i partiti che nella precedente consultazione elettorale si dichiararono favorevoli alla Regione Romagna non abbiano cambiato idea; spera invece che i partiti che fino ad oggi hanno osteggiato tale richiesta, vogliano essere democratici fino in fondo, rimanendo magari contrari alla Regione Romagna, ma riconoscendo il diritto costituzionale dei romagnoli a dire l’ultima parola, attraverso il referendum, sul destino amministrativo delle loro terra. Ho detto, e sottolineo, destino amministrativo, perché troppo spesso, a questo riguardo, si è parlato impropriamente di secessione. Si ha secessione quando si crea un nuovo Stato o, comunque, un territorio con larghissima autonomia amministrativa; nel nostro caso, si tratta semplicemente di creare una nuova Regione a statuto ordinario, esattamente uguale alle altre 15 che già esistono. Veltroni ha parlato di discontinuità nella linea politica del Partito Democratico rispetto al passato; perché allora non cominciare col riconoscere ai romagnoli quel diritto al referendum che, da oltre 60 anni, è codificato nell’art. 132 della Costituzione Italiana? Insomma, fatti e non parole.
*Movimento autonomia Romagna
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Da “La Voce” di Martedì 11 Marzo 2008
Autonomia Romagna e Montefeltro-Bene i singoli, ma cosa ne pensa il Pd?

di Stefano Servadei
Ho letto, con vivo interesse, le lettere che il dott. Ubaldo Marra, esponente diessino forlivese, ed ora aderente al Pd, che conosco e stimo da molti anni, ha inviato nello scorso gennaio ed in questi giorni a “La Voce”, riguardanti sia la nostra battaglia autonomistica romagnola che l’atteggiamento assunto dalla Giunta regionale marchigiana circa il referendum svolto nell’Alta Valmarecchia nel dicembre 2006 da sette Comuni ora appartenenti alla Provincia di Pesaro-Urbino, per l’aggregazione al territorio romagnolo, del quale si sentono motivatamente parte.E concordo con le sue considerazioni sulla opportunità che tutte le forze politiche, soprattutto quelle investite di maggiori responsabilità, come il recente Partito Democratico, si interessino coerentemente in assonanza alle popolazioni interessate. E non fingano che i problemi, come quelli da noi disinteressatamente e tenacemente portati in campo da una ventina di anni a questa parte, non esistano. O siano ininfluenti per lo sviluppo e la modernizzazione delle nostre realtà economica, culturale, antropologica.Ricordo, al riguardo, che nella promozione, nel 1963, del piccolo Molise (meno di un terzo della popolazione romagnola) l’allora PCI svolse il ruolo di “battistrada” a tutte le altre forze istituzionali. E riconosco che il nuovo ruolo del territorio in questione ha concorso in maniera determinante a toglierlo da uno stato di grande arretratezza, affacciandolo ad un livello di compatibile sviluppo in ogni campo.Perché sì all’autogestione del Molise e no, sistematicamente, alla Romagna, posto, oltretutto, che la stessa esiste da 1300 anni, e che nel più recente periodo monarchico, ha subito declassamenti di ogni tipo per la fede repubblicana della sua gente? E quali le effettive ragioni del “no”, dal momento che da parte del PCI-PDS-DS ci si è sempre rifiutati di un serio confronto? E perché, infine, si continua ad impedire lo svolgimento del referendum popolare, vale a dire la chiamata in causa della popolazione interessata, l’unica ad avere titoli democratici e rappresentativi per certe scelte?Circa la presa di posizione negativa della Giunta regionale marchigiana (di centro-sinistra), siamo al delitto di “lesa Costituzione”. I sette Comuni dell’alta Valmarecchia hanno, infatti, svolto regolari referendum secondo il disposto dell’art. 132 della Costituzione. Ed hanno proceduto con l’assenso della suprema Corte di Cassazione, col risultato che l’83 per cento dei votanti ha scelto il passaggio al territorio romagnolo.Come si fa a contestare da posizioni che non siano autoritarie una simile realtà? E come è possibile, anche in questo caso, parlare di una “sovranità popolare”, quando una Giunta, che nella vicenda non ha alcuna competenza, e che è in genere costituita non da “eletti”, bensì da “chiamati”, sale in cattedra e pretende di sentenziare nel merito?Attenti. Non è sufficiente proclamarsi “democratici” per esserlo realmente. In ogni caso, su tutti questi problemi, e su altri, il M.A.R. è sempre disponibile, e non da ora, ad ogni genere di confronto. Ed apprezza chi considera i tempi della “supponenza” e dell’ “ipse dixit”definitivamente superati.

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Per contatti e informazioni sul MAR: bruno_castagnoli@fastwebnet.it

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