giovedì 6 marzo 2008

"QUALE SPERANZA"

Giuliano Ferrara e Mons. Francesco Ventorino presentano
l’Enciclica di Benedetto XVI "Spe Salvi"- moderatore il prof. Sergio Cristaldi
(Catania,Teatro Sangiorgi,29 febbraio 2008).
Moderatore:
La speranza è anche un istinto naturale dell’uomo. Come diceva Leopardi, "ogni momento è un atto di desiderio e altresì di speranza".
Questo tipo di speranza ha tutto da guadagnare da quell’invenzione di Dio che è la speranza cristiana, invenzione di cui Dio stesso si stupisce secondo Peguy, una meraviglia della Grazia.
La modernità ha concepito una sua speranza, che si affida alle sole risorse dell’uomo per realizzare il bene dell’uomo. Fino a qualche decennio fa era la politica ad incarnare questa nuova speranza, adesso non lo è più e al suo posto c’è la scienza: potremmo dire che Bacone si è preso la sua rivincita su Marx.
Ferrara:
Sparlerò della politica, se mai se ne può sparlare visto che era Paolo VI a dire che la politica, una certa politica è la più alta forma di carità: la politica quindi è anche amore, è passione.
Il grande mito moderno della restaurazione in terra del paradiso perduto è un tentativo di sostituire una fede ad un’altra, figlio di un certo illuminismo radicale. Non ci si concepisce più, come ne Medioevo, quali nani sulle spalle dei giganti. L’uomo adesso è signore della terra e dell’universo. L’uomo non ha più un dominio sulle cose che gli deriva dall’essere creatura, immagine di Dio; l’uomo ha un potere direttamente divino sulle cose, che usa per riportare il mondo alla sua giusta forma attraverso la rivoluzione, il cambiamento delle istituzioni. "La restaurazione del paradiso perduto", come dice il Papa nell’encilica (pag. 36), "non si attende più dalla fede, ma dal collegamento appena scoperto tra scienza e prassi. Non è che con ciò la fede venga semplicemente negata; essa viene piuttosto spostata su un altro livello – quello delle cose solamente private ed ultraterrene – e allo stesso tempo diventa irrilevante per il mondo". Domina l’ottimismo di una fede nell’uomo onnipotente che ha tutti i mezzi per realizzare un fine non umano, ma divino, che è quello di portare il mondo alla sua giusta forma. Tutto questo avviene perché all’origine della modernità c’è, a dimostrazione che le molle principali della nostra storia sono i segni di contraddizione nel rapporto tra la Chiesa e lo Stato; all’origine c’è, tra le altre cose, e sicuramente animata da un sincero afflato religioso, la riforma protestante: il grido di Lutero, la fede individualizzata, Sola fide Sola scriptura. È una concezione soggettivista, in cui ciò che tu senti, pensi e credi è la misura soggettiva in cui tutto, il rapporto col mondo e con Dio, è chiuso, anzi rinchiuso. Bisogna leggerlo tutto il cap. VII di questa enciclica! Per capirci, vi chiedo come mai oggi è così facile ritenere disponibile la vita di un bambino, anche in buona fede e credendo di fare del bene a qualcuno? Come mai è così facile ritenere disponibile la vita del nascituro, del concepito? Se si ritiene disponibile la vita è perché la speranza non è più sostanza, non è sostanza delle cose che si vedono (e prova di quelle che non si vedono, come dice la Lettera agli Ebrei di San Paolo, citata dal Papa). Questo è un libro che va letto, riletto, sottolineato con la matita come a scuola, bisogna rifletterci su. D’altronde, diciamocelo, la vita è noiosa se uno non si ferma mai a pensare, a leggere a sottolineare, per divertirsi nella vita bisogna un attimo fermarsi a interrogarsi. La vita deve essere irrobustita da qualcosa che la trascenda. Se la fede non è prova delle cose che non si vedono, se non radica il futuro nel presente e non trasforma il mondo e la vita, che cos’è? E questo lo sanno anche i razionalisti, a meno che non siano razionalisti intontiti: il razionalista vero sa che la ragione ha un limite, per restare tonda, euclidea, matematica. Quando il mondo è saldo nel sapere che la fede è sostanza, nel senso che sussiste quello che ci sta sotto, tutto è fondato su un modo giusto di concepire l’umanità, e il suo rapporto col divino, anche nelle nebbie del dolore umano. Lì si radica tutto, lì è la roccia. Cormac McCarthy, nel suo romanzo "Non è un paese per vecchi" usa questa bellissima immagine dell’abbeveratoio di pietra: quando tutto va a rotoli, quello che resta, la sostanza è lì in questa cosa rocciosa, in questa forma che prende una materia che non è più materia. Altrimenti le cose che non si vedono sono tutt’al più oggetto di convinzione: no, la speranza è prova! Sostanza, se no tutto è perduto.
Don Ciccio:
Comincio da quella profezia, citata nell’enciclica (pag. 40), del filosofo I. Kant nel 1795: "Se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore (…) potrebbe verificarsi, sotto l’aspetto morale, la fine perversa di tutte le cose", e noi ne siamo testimoni. Dobbiamo ripensare due aspetti essenziali della vita dell’uomo: ragione e libertà. La ragione del potere e del fare deve aprirsi alla ragione che è discernimento di ciò che è bene e di ciò che è male. La ragione perde questa bussola quando non si apre alle forze salvifiche della fede. Si è tentato un regno di Dio senza Dio. Di quanto siamo debitori su questo punto alla tradizione cristiana, ce ne dà testimonianza lo stesso Ferrara in un editoriale che ha scritto il 22 gennaio sul Foglio rispondendo al teologo Vito Mancuso: " Se non ci fosse la Chiesa, se non fossero successe alcune cose nel mondo, e tra queste principalmente la nuova koinè o cultura diffusa instaurata da lunghi anni di predicazione papale, da Paolo VI a Giovanni Paolo II a Benedetto XVI, più l’incalzante offensiva culturale dei vescovi italiani, io non esisterei come banditore delle cosuzze in cui credo, quel che penso resterebbe una piccola testimonianza personale impotente, e forse non penserei quel che penso così come lo penso". Un altro fattore di cui non tiene conto la modernità è la libertà, la libertà che presuppone che ogni uomo sia un nuovo inizio. L’utopia della scienza fallirà, come ha già fallito quella della politica, perché non tiene conto di questo fattore. Ci troviamo in un’epoca storica interessante: in un mondo che ha sfiducia nella ragione, e che non tiene conto della libertà, praticamente l’ultimo baluardo rimasto è la Chiesa, resta solo la Chiesa ricordare queste cose.
La sostanza è ciò su cui si può fondare la speranza della vita, e l’unica sostanza è Cristo vincitore sulla morte. Per questo i santi e i martiri davano le loro "sostanze" (cioè i beni su cui fondiamo la speranza nel futuro), perché avevano una sostanza più grande (cfr. pag. 19/20).
Voglio fare una domanda a Ferrara. È possibile sperare nella salvezza senza la caparra della speranza professata dal Credo cristiano, in Cristo che muore e risorge?
Moderatore:
L’enciclica da questo punto di vista, ed è strano per un testo del genere, è provocatoria. Come diceva Peguy, "Chi non conosce Dio, pur avendo molteplici speranze, in fondo è senza speranza". Quella cristiana è la grande speranza che può resistere a tutte le delusioni. L’uomo non è redento dalla scienza ma dall’amore incondizionato. È questo amore che cambia.
Ferrara:
Certo che gli rispondo che ha ragione! Se don Ciccio mi dice, perché questo era l’implicito: "Giuliano, tu che parli di sostanza, ma guarda che questa sostanza non è metafisica, è una persona, un fatto. Si può stare saldi senza Cristo, Giuliano?". Non possiamo non dirci cristiani, secondo Croce, ma in realtà io direi di più: non possiamo non essere cristiani.
Il cristianesimo non è filologia, è attivazione della parola. Va bene il metodo di analisi storica,va bene tutto ma … Come dice il Papa con una punta di ironia da grande professore, nel suo "Gesù di Nazareth": con buona pace di tutti, per me l’unico Gesù sensato è quello dei Vangeli, quello che è morto ed è risorto.
Io non voglio dirvi che Gesù era un profeta culturale, un maestro di giustizia. Non vi ho scambiato per un accademia di pensiero. Io accetto quello che don Ciccio mi propone, che Gesù è innanzitutto una persona, una presenza. Io lo accetto.
Io sono un a persona moderna e laica, e non voglio che il nostro vocabolario venga impoverito; per questo quando c’è stato il caso di Buttiglione alla Commissione europea e tutti sono saltati in aria perché ha usato la parola peccato, io ho fatto quella battaglia. Io non voglio che il nostro vocabolario venga impoverito.
Alcuni della mia parte dicono che io parlo così perché mi sono convertito, dando alla parola "convertito" un preciso senso per poterla usare nella loro bandiera. Come dire: "Beh, sei invecchiato, ti sei rammollito, certo che ti sei convertito! Io invece, credo ancora che l’uomo sia come la scimmia, come la mosca…". Beh, se è così alloa sì che mi sono convertito, ma da tempo! Convertito e stra-convertito!
Il punto per me, il problema è che da sempre nel pensiero cristiano c’è una felice ambiguità, ed è inutile cercare di spiegarla meglio di come fa il Papa, bisogna leggere pag. 13: "I sarcofaghi degli inizi del cristianesimo illustrano visivamente questa concezione – al cospetto della morte, di fronte alla quale la questione della vita diventa inevitabile. La figura di Cristo viene interpretata sugli antichi sarcofaghi soprattutto mediante due immagini: quella del filosofo e quella del pastore. Per filosofia allora, in genere, non si intendeva una difficile disciplina come essa si presenta oggi. Il filosofo era piuttosto colui che sapeva insegnare l’arte essenziale: l’arte di essere uomo in modo retto – l’arte di vivere e di morire".
Noi, in quanto eredi del mondo cristiano, non siamo depositari di un formulario etico, non è il moralismo il succo, ma l’incontro con Gesù, con questa persona che ha questa felice ambiguità, pastore ma anche filosofo. Per percorrere questa via e per arrivare ad inginocchiarsi, occorre un dono di Grazia. Da sempre io giro attorno al pensiero cristiano, perché io corteggio questa possibilità, mi seduce questa possibilità.
Moderatore:
Non ci si converte ad una cultura o ad un etica, non ci si inginocchia di fronte ad un tiranno, ma soltanto di fronte a qualcuno che si ama e da cui si vuole essere amati.
Don Ciccio:
Io capisco profondamente il suo dramma, perché è anche il mio. Lui è arrivato a dire: il nodo della questione è che se Cristo non ha vinto la morte non c’è verità sull’uomo. Il resto lo fa Dio, ma capisco il tuo dramma perché siamo arrivati alla stessa conclusione. L’amore dell’uomo non basta a sé stesso, all’amore dell’uomo serve la certezza di quell’amore assoluto e incondizionato per cui Dio l’ha amato fino a morire per lui e fino a vincere la morte per lui. Cristo ha usato la sua umanità come ancora per la mia. In una poesia Giovanni Paolo II formulava così il tuo e il mio dramma: "Non ti dico – Vieni! -, ma ti dico – Sii! -, per favore sii!". Dio solo sa quanto in questo grido ci sia già la fede....
Sintesi dell'incontro a cura di Federico Trombetta (trombyz@yahoo.it)
***la foto è del blog A RARIKA.

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