lunedì 15 dicembre 2008

"Noi siamo i prediletti da Dio..." (di Attilio Castrogiovanni)

(Nella foto A. Castrogiovanni porta in mano la pentola con il doppio fondo usata in carcere per ricevere e trasmettere messaggi ai patrioti siciliani)
da "IL MOVIMENTO PER L'INDIPENDENZA DELLA SICILIA" (1977)
del Duca di Carcaci.

UN NOBILE MESSAGGIO DI ATTILIO CASTROGIOVANNI DAL CARCERE DI CATANIA
Noi siamo i prediletti da Dio, poiché ci diede la suprema ventura di nascere nella terra che Egli benedice col suo sole, col suo mare, con i suoi fiori, con il suo incanto; siamo i prediletti dalla fortuna, poiché le infinite sventure hanno infine fatto ritrovare ai nostri animi il senso e la direzione delle mete; siamo i prediletti dal destino, poiché, mentre il mondo ha perduto la fede nel suo avvenire e nel suo cammino, siamo i soli a vedere con occhi chiari quel che la Storia comanda.
Noi siamo i suscitatori delle memorie antiche e ricordiamo che Siracusa era la gemma ed il cuore del mondo, quando Romolo tracciava il solco attorno alle misere capanne dei barbari pastori e, con l'uccisione di Remo, imprimeva la stimmata fatale che ancor oggi oscura ed anima la volontà e le azioni della Città che non ha mai amato!
Noi abitiamo la Terra nella quale approdarono, stanchi, tutti gli incompresi, tutti gli avventurosi e tutti gli Eroi; nella quale si rifugiarono gli Iddii fuggiti da Atene devastata ed i seguaci del Cristo di Misericordia martirizzati e perseguitati da Roma proterva.
Noi siamo il Popolo che alla corte del Grande Svevo, primo parlò la dolce lingua, poi usurpata, primo cantò le dolci canzoni, primo diede ai sudditi la dignità di uomini, agli animi la luce delle libertà ed ai popoli la conquista dei parlamenti e delle costituzioni.
Noi siamo i nipoti di coloro che ad Imera con le spade lucenti di vittoria scrissero: « La Sicilia ai Siciliani! »; siamo il Popolo cui il mondo invidia quel « Vespro » al quale tutti gli oppressi guardano come ad una radiosa aurora.
Noi siamo i figli di coloro che, in un supremo anelito di libertà e di amore, per primi cacciarono i tiranni e ci ribellammo alla miseria e con fede generosa credemmo nell'ingenuo mito di un'Italia Madre, per trovare invece frode, tradimento, nuovi tiranni e peggiori servitù e miserie.
Noi, vittime di molti Verre e di moltissimi Giuda, tuttavia non siamo figli dell'odio sterile o del passato che brilla di tutte le glorie e ci piega su tutte le sventure; noi siamo figli della speranza feconda e dell'avvenire che luce di mirabili promesse.
Noi pretendiamo che il sangue nostro ed il nostro sudore, che sono elementi essenziali di vita, indispensabili alla esistenza di ogni uomo, di ogni famiglia, di ogni popolo, siano interamente in nostre mani e sotto il nostro esclusivo controllo: Poiché tutte le Italie, egualmente rapinatrici, han fatto gettito e spreco delittuoso ed infame del nostro lavoro e della nostra sobrietà, trasformando i nostri lavoratori in miserabili schiavi incatenati al triste remo del bisogno e ridotti alla suicida disperazione di odiare i campi, il mare, le miniere, le officine, che danno pane ai figli altrui, ma non ai propri poiché tutte le Italie, egualmente dimentiche del civile dovere di conquistare se stesse, e sempre in cerca di nuove avventure, di nuovi disastri e di nuovi disonori, han trasformato i nostri figli, speranza e ragione della vita, in concime utile alla prosperità altrui, in sanguinosa e dolorante carne da mitraglia.
Noi vogliamo che il sobrio contadino, ridivenuto uomo ed aiutato dalla passione di tutto un Popolo, trovi la forza di spezzare l'incantesimo maledetto del latifondo sterile ed ostile e che col suo amore redima la terra e la conquisti ai figli con il sudore sacro della sua fatica umana; che il marinaio, brunito dal sole e dalla tempesta, solchi sereno i grandi sentieri azzurri per rapire al mare generoso le sue ricchezze e diriga le sue prore di pace alla conquista dei mari del mondo; che il mercante sagace abbia piena libertà di respiro e porti agli altri e prenda per noi tutto quanto giovi al tranquillo benessere ed al civile progresso delle genti; che l'artigiano industre insegni al figlio, che non gli sarà più rubato per essere mandato a morire, l'arte che il padre suo ha trasfuso nelle sue mani sapienti.
Noi vogliamo che il nostro Popolo ospitale mostri agli uomini illusi e delusi di tutto il mondo che, affranti, verranno a cercare rifugio nel bello, come la saviezza antica e la dignità riconquistala abbiano saputo con le armi della pace e del lavoro sottrarre un angolo della terra martoriata al segno di Caino che ha oscurati i cuori e strazia i popoli e i continenti.
Questi noi siamo e questo noi vogliamo.
Si alterneranno le stagioni sul mondo e vestiranno la Terra Madre dì nevi, rose, biade e pampini; passeranno gli anni e dagli oscuri meandri della vita proromperanno le giovinezze nuove, ma giammai sarà ammainato sulle torri e sui cuori il giallo rosso della nostra passione; giammai cesserà di risuonare sui monti e nelle valli, nei campi e nelle città, il grido nostro che invoca la vita e che è come il fiore sanguigno della nostra speranza:
«Vivi Tu, o Patria, e non contare i morti!»
ATTILIO CASTROGIOVANNI
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