"Io ho un concetto etico di giornalismo. Un giornalismo fatto di verità, impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, sollecita la costante attuazione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo si fa carico di vite umane. Un giornalista incapace, per vigliaccheria o per calcolo, della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori che avrebbe potuto evitare, le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze, che non è stato capace di combattere". Con queste parole, nel 1981, in un editoriale del Giornale del Sud, Giuseppe Fava spiegò cosa intendeva per giornalismo.
Pippo è nato a Palazzolo Acreide (Siracusa), nel 1925, figlio di due insegnanti elementari, Elena e Giuseppe, di origini contadine; nel '43 si trasferisce a Catania, dove si laurea in giurisprudenza . A Catania comincia a fare il giornalista, collabora con diverse testate regionali ma anche con periodici nazionali - La Domenica del Corriere, Tempo Illustrato -, scrive di cinema e di calcio, di teatro e di costume, realizza interviste memorabili come quelle ai boss storici mafiosi Calogero Vizzini e a Genco Russo. E' capocronista del quotidiano del pomeriggio, Espresso Sera, e quando, alla fine degli anni Settanta, tutti danno per scontato che diventi il direttore, l'editore gli preferisce un altro.
Quello che Fava instaura con la sua città adottiva è un rapporto d'amore-odio, intenso, passionale: "Io sono diventato profondamente catanese, i miei figli sono nati e cresciuti a Catania, qui ho i miei pochissimi amici ed i molti nemici, in questa città ho patito tutti i miei dolori di uomo, le ansie, i dubbi, ed anche goduto la mia parte di felicità umana. Io amo questa città con un rapporto sentimentale preciso: quello che può avere un uomo che si è innamorato perdutamente di una puttana, e non può farci niente, è volgare, sporca, traditrice, si concede per denaro a chicchessia, è oscena, menzognera, volgare, prepotente, e però è anche ridente, allegra, violenta, conosce tutti i trucchi e i vizi dell'amore e glieli fa assaporare, poi scappa subito via con un altro; egli dovrebbe prenderla mille volte a calci in faccia, sputarle addosso "al diavolo, zoccola!", ma il solo pensiero di abbandonarla gli riempie l'animo di oscurità". È la primavera del 1980 quando Giuseppe Fava dirigere un quotidiano, il Giornale del Sud, che fa con una "primavera" di giovani cronisti - età media, 20 anni.
Successivamente da vita alla cooperativa Radar e fonda,con sede a Sant'Agata Li Battiati, I Siciliani. E' qui che ho conosciuto Pippo: "Fava- scrive il sociologo Nando dalla Chiesa- creò altri giornalisti, diede vita a un collettivo, fondò una testata ,I Siciliani,tirandola fuori con tenacia dal mondo dell'immaginazione. Fu un maestro. Un maestro che ha insegnato a battersi, con l'arma della parola, a un gruppo di giovani". Nell'ultimo editoriale scritto per I Siciliani, nel novembre del 1983, Fava raccontava le impressioni maturate dopo la messa in scena della sua opera teatrale, che parla di scandali e corruzioni tra i potenti...anteprima dell'Ultima violenza,allo Stabile di Catania, nella sala c'erano tutti i rappresentanti del potere nel territorio, i buoni e i cattivi, i giusti e gli iniqui, i galantuomini e i mascalzoni. Sulla scena per tre ore sfilano i personaggi equivalenti. Alla fine è un'ovazione di massa, tutti applaudono, tutti si complimentano. E Fava commenta così: "Il clima morale della società è questo. Il potere si è isolato da tutto, si è collocato in una dimensione nella quale tutto quello che accade fuori, nella nazione reale, non lo tocca più e nemmeno lo offende, né accuse, né denunce, dolori, disperazioni, rivolte. Egli sta là, giornali, spettacoli cinema, requisitorie passano senza far male: politici, cavalieri, imprenditori, giudici applaudono. I giusti e gli iniqui. Tutto sommato questi ultimi sono probabilmente convinti d'essere ormai invulnerabili". Il professore Pietro Barcellona, dal canto suo, ha definito Fava come "un grande siciliano":"molte affinità con il Pasolini che ha fatto il processo al Palazzo: denunciavano le stesse cose".
Catania,5 gennaio 2008
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