
Pippo è nato a Palazzolo Acreide (Siracusa), nel 1925, figlio di due insegnanti elementari, Elena e Giuseppe, di origini contadine; nel '43 si trasferisce a Catania, dove si laurea in giurisprudenza . A Catania comincia a fare il giornalista, collabora con diverse testate regionali ma anche con periodici nazionali - La Domenica del Corriere, Tempo Illustrato -, scrive di cinema e di calcio, di teatro e di costume, realizza interviste memorabili come quelle ai boss storici mafiosi Calogero Vizzini e a Genco Russo. E' capocronista del quotidiano del pomeriggio, Espresso Sera, e quando, alla fine degli anni Settanta, tutti danno per scontato che diventi il direttore, l'editore gli preferisce un altro.
Quello che Fava instaura con la sua città adottiva è un rapporto d'amore-odio, intenso, passionale: "Io sono diventato profondamente catanese, i miei figli sono nati e cresciuti a Catania, qui ho i miei pochissimi amici ed i molti nemici, in questa città ho patito tutti i miei dolori di uomo, le ansie, i dubbi, ed anche goduto la mia parte di felicità umana. Io amo questa città con un rapporto sentimentale preciso: quello che può avere un uomo che si è innamorato perdutamente di una puttana, e non può farci niente, è volgare, sporca, traditrice, si concede per denaro a chicchessia, è oscena, menzognera, volgare, prepotente, e però è anche ridente, allegra, violenta, conosce tutti i trucchi e i vizi dell'amore e glieli fa assaporare, poi scappa subito via con un altro; egli dovrebbe prenderla mille volte a calci in faccia, sputarle addosso "al diavolo, zoccola!", ma il solo pensiero di abbandonarla gli riempie l'animo di oscurità". È la primavera del 1980 quando Giuseppe Fava dirigere un quotidiano, il Giornale del Sud, che fa con una "primavera" di giovani cronisti - età media, 20 anni.
Successivamente da vita alla cooperativa Radar e fonda,con sede a Sant'Agata Li Battiati, I Siciliani. E' qui che ho conosciuto Pippo: "Fava- scrive il sociologo Nando dalla Chiesa- creò altri giornalisti, diede vita a un collettivo, fondò una testata ,I Siciliani,tirandola fuori con tenacia dal mondo dell'immaginazione. Fu un maestro. Un maestro che ha insegnato a battersi, con l'arma della parola, a un gruppo di giovani". Nell'ultimo editoriale scritto per I Siciliani, nel novembre del 1983, Fava raccontava le impressioni maturate dopo la messa in scena della sua opera teatrale, che parla di scandali e corruzioni tra i potenti...anteprima dell'Ultima violenza,allo Stabile di Catania, nella sala c'erano tutti i rappresentanti del potere nel territorio, i buoni e i cattivi, i giusti e gli iniqui, i galantuomini e i mascalzoni. Sulla scena per tre ore sfilano i personaggi equivalenti. Alla fine è un'ovazione di massa, tutti applaudono, tutti si complimentano. E Fava commenta così: "Il clima morale della società è questo. Il potere si è isolato da tutto, si è collocato in una dimensione nella quale tutto quello che accade fuori, nella nazione reale, non lo tocca più e nemmeno lo offende, né accuse, né denunce, dolori, disperazioni, rivolte. Egli sta là, giornali, spettacoli cinema, requisitorie passano senza far male: politici, cavalieri, imprenditori, giudici applaudono. I giusti e gli iniqui. Tutto sommato questi ultimi sono probabilmente convinti d'essere ormai invulnerabili". Il professore Pietro Barcellona, dal canto suo, ha definito Fava come "un grande siciliano":"molte affinità con il Pasolini che ha fatto il processo al Palazzo: denunciavano le stesse cose".
Catania,5 gennaio 2008
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