Nonostante tutto quello che ci circonda, e spesso ci opprime. Nonostante il nulla che avanza,quasi in modo inarrestabile. Nonostante la commercializzazione di tutti gli eventi, felici e luttuosi. Al di là del 14 febbraio e,con tutto rispetto, di San Valentino,una cosa è certa:l' "AMORE" fra due persone,indipendentemente dal loro sesso ,è l'elemento più anarchico che l'umanità conosce,l'elemento che è capace di sconvolgere qualsiasi protocollo scritto e virtuale...E,a questo "AMORE", dedichiamo questa giornata...
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La rivista di cultura "Il Saggio" e Discoradio, presentano OGGI Giovedì 14 febbario, alle ore 20.15, su Discoradio, 23^ puntata di "Versi diversi in radio", con i poeti Elena Bullo Santi di Mestre e Fabrizio Matteucci di Focette (LU).
Parleremo d' Amore, di Venezia, della Giornata Internazionale del gatto, della Poesia come strumento terapeutico, dell'ermetismo.
Jole Mustaro leggerà: "Scuro de luna"; "I me gati" di Elena Bullo Santi; "Sguardi", di Fabrizio Matteucci-Ascolteremo: "When a man loves a women" - Michael Bolton; "Allegro dal Concerto primo in re maggiore" ,di Antonio Vivaldi; "Duetto buffo di due gatti", di Gioacchino Rossini, interpretato da Peppe e Concetta Barra; "All by myself "- Celine Dion; "Te lo leggo negli occhi" - Franco Battiato.
In chiusura: "Il gatto" - Charles Baudelaire.
Per ascoltare Discoradio:EBOLI - PIANA DEL SELE - 90.600BATTIPAGLIA - MONTI PICENTINI - 99.400, oppure in steaming su www.discoradioeba.com
oppure a f.falcone@ilsaggio.it
Chi non conosce "Il Saggio" e desidera ricevere a casa una copia in omaggio, basta richiederla.
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Io pronuncio il tuo nome
Io pronuncio il tuo nome
Io pronuncio il tuo nome
nelle notti oscure,
quando giungono gli astria bere nella luna,
e dormono i ramidelle fronde occulte.
Ed io mi sento vuotodi passione e di musica.
Folle orologio che cantaantiche ore defunte.
Io pronuncio il tuo nome
in questa notte oscura,
e il tuo nome mi suona più lontano che mai.
Più lontano di tutte le stelle
e più dolente della mite pioggia.
Ti amerò come allora
qualche volta?
Che colpa ha commesso il mio cuore?
Se la nebbia si scioglie
quale nuova passione mi aspetta?
Sarà tranquilla e pura?
Se potessi sfogliare con le dita la luna!!
Federico García Lorca
*
"RICORDATI DI GUARDARE LA LUNA" (di Nicholas Sparks)
<<PROLOGO
Lenoir, 2006
Che cos’è il vero amore?
C’è stato un tempo in cui credevo di conoscere la risposta: significava amare
Savannah con tutto me stesso e che avremmo passato la vita insieme. Non sarebbe
stato difficile. Una volta lei mi disse che la chiave della felicità stava nell’avere sogni
realizzabili, e i suoi non erano niente di straordinario. Il matrimonio, la famiglia..., le
cose basilari. Un lavoro stabile da parte mia, una casa con il giardino, e una
monovolume o un SUV per portare i bambini a scuola o dal dentista, oppure
all’allenamento di calcio o alle lezioni di pianoforte. Due o tre figli, non si esprimeva
mai con precisione in proposito, ma io avevo la sensazione che, quando fosse giunto il
momento, avrebbe proposto di lasciar fare alla natura e di affidare a Dio la decisione.
Era così — religiosa, intendo — e suppongo questa sia stata una delle ragioni che mi
hanno fatto innamorare di lei. Ma qualunque cosa ci avesse riservato il destino, mi
immaginavo sdraiato a letto al suo fianco alla fine della giornata, mentre parlavamo e
ridevamo stretti tra le braccia l’uno dell’altra.
Non è chiedere troppo, giusto? Quando due persone si amano davvero. Lo pensavo
anch’io. E una parte di me vorrebbe ancora credere che sia possibile, anche se so che
non succederà. Quando me ne andrò di nuovo da qui, non tornerò più.
Per il momento, tuttavia, me ne sto seduto sulla collina che domina la fattoria, in
attesa che lei compaia. Naturalmente non potrà vedermi. Nell’esercito ti insegnano a
mimetizzarti con l’ambiente, e io ho imparato bene, perché non avevo nessuna
intenzione di crepare in mezzo al deserto iracheno. Ma ho dovuto tornare in questa
piccola cittadina di montagna del North Carolina per capire quello che è accaduto.
Quando metti in moto qualcosa, provi un senso di disagio, una sorta di rimpianto,
finché non scopri la verità.
Comunque, di una cosa sono sicuro: Savannah non saprà mai che oggi sono stato qui.
È triste il pensiero che lei sia così vicina eppure irraggiungibile, però ormai abbiamo
preso strade diverse. Non è stato facile per me accettare questo semplice fatto, perché
un tempo le nostre storie erano una sola, ma succedeva sei anni e due vite fa.
Entrambi abbiamo i nostri ricordi, è vero, ma ho imparato che i ricordi possono
assumere un aspetto fisico, quasi reale, e anche in questo Savannah e io siamo diversi.
Se i suoi sono le stelle nel cielo notturno, i miei sono il vuoto spettrale tra di esse. E a
differenza di lei, sono stato tormentato dagli interrogativi che mi sono posto migliaia
di volte da quando ci siamo lasciati. Perché l’ho fatto? E lo rifarei?
In effetti, sono stato io a scrivere la parola fine.
Le foglie sugli alberi intorno a me hanno appena cominciato la loro lenta mutazione
verso il colore del fuoco e ardono alla luce del sole che sta spuntando all’orizzonte.
Gli uccelli hanno iniziato il loro canto mattutino e l’aria è pervasa dall’odore di resina
e di terra, che non assomiglia a quello di salsedine della mia città natale. Dopo un po’
la porta d’ingresso si socchiude, e allora la vedo. Nonostante la distanza che ci separa
trattengo il respiro mentre la guardo uscire nell’alba. Solleva le braccia stirandosi
prima di scendere i gradini e dirigersi verso il lato dell’edificio. Più in là il pascolo
brilla come un oceano verde e lei oltrepassa il cancello. Uno dopo l’altro i cavalli
nitriscono in segno di saluto e il mio primo pensiero è che Savannah sia troppo
piccola per muoversi con tanta disinvoltura in mezzo a quegli animali. Ma è sempre
stata a suo agio con loro. Cinque o sei, per lo più cavalli da tiro, brucano l’erba vicino
alla staccionata e Midas, il suo arabo nero con i garretti bianchi, se ne sta da solo in
disparte. Una volta noi due abbiamo cavalcato insieme, fortunatamente senza gravi
conseguenze, e mentre io mi aggrappavo con tutte le forze per non cadere, lei andava
a cavallo con la massima scioltezza, come se fosse in poltrona a guardare la TV. Ora
dedica un momento a Midas. Gli strofina il muso sussurrandogli qualcosa, gli
accarezza i fianchi e, quando infine entra nella stalla, lui drizza le orecchie seguendola
con lo sguardo.
Riappare con due secchi di avena. Li appende ai paletti dello steccato e subito un paio
di cavalli si avvicinano trotterellando. Lei si sposta per far loro spazio e i suoi capelli
si agitano nella brezza. Poi prende i finimenti e, mentre Midas mangia, lo sella e pochi
minuti dopo lo conduce fuori dal pascolo, verso i sentieri nel bosco. È identica a sei
anni fa. So che non è vero — l’anno scorso l’ho osservata da vicino e ho notato le
prime minuscole rughe intorno agli occhi — ma la lente attraverso cui la vedo me la
mostra immutata. Per me avrà sempre ventun anni, e io ventitré. Allora ero di stanza
in Germania, dovevo ancora andare a Falluja o Bagdad e ricevere la sua lettera che
avrei letto alla stazione ferroviaria di Samawa nelle prime settimane della campagna;
dovevo ancora tornare a casa e vivere gli avvenimenti che avrebbero cambiato il corso
della mia vita.
Ora, a ventinove anni, mi meraviglio a volte delle scelte fatte. L’esercito è diventato
la mia famiglia. Non so se esserne scocciato o lusingato; in genere passo da una
sensazione all’altra, a seconda dell’umore della giornata. A chi mi chiede rispondo
che sono una recluta, e lo penso davvero. La mia base è sempre in Germania, ho
messo via forse un migliaio di dollari e sono anni che non esco con una ragazza. Non
faccio più surf, nemmeno quando sono in licenza, ma nei giorni liberi inforco la mia
moto e viaggio su e giù, senza una meta. La Harley è l’unico lusso che mi sia mai
concesso, anche se mi è costata un patrimonio. È adatta a me, visto che mi sono
trasformato in una specie di lupo solitario. La maggior parte dei miei compagni si è
congedata, ma io probabilmente sarò rispedito in Iraq entro un paio di mesi. Almeno
queste sono le voci che circolano alla base. La prima volta che incontrai Savannah
Lynn Curtis — per me, lei si chiamerà sempre così — non avrei mai immaginato che
la mia esistenza avrebbe preso la piega che ha ora, né che avrei fatto carriera
nell’esercito.
Tuttavia, è proprio quell’incontro a rendere tanto strana la mia vita adesso. Mi sono
innamorato di lei mentre eravamo insieme e poi ancora di più durante gli anni in cui
siamo stati separati. La nostra storia si divide in tre: un inizio, una parte centrale e una
fine. E sebbene sia questo il naturale svolgimento di tutte le storie...>>.
*
<<PROLOGO
Lenoir, 2006
Che cos’è il vero amore?
C’è stato un tempo in cui credevo di conoscere la risposta: significava amare
Savannah con tutto me stesso e che avremmo passato la vita insieme. Non sarebbe
stato difficile. Una volta lei mi disse che la chiave della felicità stava nell’avere sogni
realizzabili, e i suoi non erano niente di straordinario. Il matrimonio, la famiglia..., le
cose basilari. Un lavoro stabile da parte mia, una casa con il giardino, e una
monovolume o un SUV per portare i bambini a scuola o dal dentista, oppure
all’allenamento di calcio o alle lezioni di pianoforte. Due o tre figli, non si esprimeva
mai con precisione in proposito, ma io avevo la sensazione che, quando fosse giunto il
momento, avrebbe proposto di lasciar fare alla natura e di affidare a Dio la decisione.
Era così — religiosa, intendo — e suppongo questa sia stata una delle ragioni che mi
hanno fatto innamorare di lei. Ma qualunque cosa ci avesse riservato il destino, mi
immaginavo sdraiato a letto al suo fianco alla fine della giornata, mentre parlavamo e
ridevamo stretti tra le braccia l’uno dell’altra.
Non è chiedere troppo, giusto? Quando due persone si amano davvero. Lo pensavo
anch’io. E una parte di me vorrebbe ancora credere che sia possibile, anche se so che
non succederà. Quando me ne andrò di nuovo da qui, non tornerò più.
Per il momento, tuttavia, me ne sto seduto sulla collina che domina la fattoria, in
attesa che lei compaia. Naturalmente non potrà vedermi. Nell’esercito ti insegnano a
mimetizzarti con l’ambiente, e io ho imparato bene, perché non avevo nessuna
intenzione di crepare in mezzo al deserto iracheno. Ma ho dovuto tornare in questa
piccola cittadina di montagna del North Carolina per capire quello che è accaduto.
Quando metti in moto qualcosa, provi un senso di disagio, una sorta di rimpianto,
finché non scopri la verità.
Comunque, di una cosa sono sicuro: Savannah non saprà mai che oggi sono stato qui.
È triste il pensiero che lei sia così vicina eppure irraggiungibile, però ormai abbiamo
preso strade diverse. Non è stato facile per me accettare questo semplice fatto, perché
un tempo le nostre storie erano una sola, ma succedeva sei anni e due vite fa.
Entrambi abbiamo i nostri ricordi, è vero, ma ho imparato che i ricordi possono
assumere un aspetto fisico, quasi reale, e anche in questo Savannah e io siamo diversi.
Se i suoi sono le stelle nel cielo notturno, i miei sono il vuoto spettrale tra di esse. E a
differenza di lei, sono stato tormentato dagli interrogativi che mi sono posto migliaia
di volte da quando ci siamo lasciati. Perché l’ho fatto? E lo rifarei?
In effetti, sono stato io a scrivere la parola fine.
Le foglie sugli alberi intorno a me hanno appena cominciato la loro lenta mutazione
verso il colore del fuoco e ardono alla luce del sole che sta spuntando all’orizzonte.
Gli uccelli hanno iniziato il loro canto mattutino e l’aria è pervasa dall’odore di resina
e di terra, che non assomiglia a quello di salsedine della mia città natale. Dopo un po’
la porta d’ingresso si socchiude, e allora la vedo. Nonostante la distanza che ci separa
trattengo il respiro mentre la guardo uscire nell’alba. Solleva le braccia stirandosi
prima di scendere i gradini e dirigersi verso il lato dell’edificio. Più in là il pascolo
brilla come un oceano verde e lei oltrepassa il cancello. Uno dopo l’altro i cavalli
nitriscono in segno di saluto e il mio primo pensiero è che Savannah sia troppo
piccola per muoversi con tanta disinvoltura in mezzo a quegli animali. Ma è sempre
stata a suo agio con loro. Cinque o sei, per lo più cavalli da tiro, brucano l’erba vicino
alla staccionata e Midas, il suo arabo nero con i garretti bianchi, se ne sta da solo in
disparte. Una volta noi due abbiamo cavalcato insieme, fortunatamente senza gravi
conseguenze, e mentre io mi aggrappavo con tutte le forze per non cadere, lei andava
a cavallo con la massima scioltezza, come se fosse in poltrona a guardare la TV. Ora
dedica un momento a Midas. Gli strofina il muso sussurrandogli qualcosa, gli
accarezza i fianchi e, quando infine entra nella stalla, lui drizza le orecchie seguendola
con lo sguardo.
Riappare con due secchi di avena. Li appende ai paletti dello steccato e subito un paio
di cavalli si avvicinano trotterellando. Lei si sposta per far loro spazio e i suoi capelli
si agitano nella brezza. Poi prende i finimenti e, mentre Midas mangia, lo sella e pochi
minuti dopo lo conduce fuori dal pascolo, verso i sentieri nel bosco. È identica a sei
anni fa. So che non è vero — l’anno scorso l’ho osservata da vicino e ho notato le
prime minuscole rughe intorno agli occhi — ma la lente attraverso cui la vedo me la
mostra immutata. Per me avrà sempre ventun anni, e io ventitré. Allora ero di stanza
in Germania, dovevo ancora andare a Falluja o Bagdad e ricevere la sua lettera che
avrei letto alla stazione ferroviaria di Samawa nelle prime settimane della campagna;
dovevo ancora tornare a casa e vivere gli avvenimenti che avrebbero cambiato il corso
della mia vita.
Ora, a ventinove anni, mi meraviglio a volte delle scelte fatte. L’esercito è diventato
la mia famiglia. Non so se esserne scocciato o lusingato; in genere passo da una
sensazione all’altra, a seconda dell’umore della giornata. A chi mi chiede rispondo
che sono una recluta, e lo penso davvero. La mia base è sempre in Germania, ho
messo via forse un migliaio di dollari e sono anni che non esco con una ragazza. Non
faccio più surf, nemmeno quando sono in licenza, ma nei giorni liberi inforco la mia
moto e viaggio su e giù, senza una meta. La Harley è l’unico lusso che mi sia mai
concesso, anche se mi è costata un patrimonio. È adatta a me, visto che mi sono
trasformato in una specie di lupo solitario. La maggior parte dei miei compagni si è
congedata, ma io probabilmente sarò rispedito in Iraq entro un paio di mesi. Almeno
queste sono le voci che circolano alla base. La prima volta che incontrai Savannah
Lynn Curtis — per me, lei si chiamerà sempre così — non avrei mai immaginato che
la mia esistenza avrebbe preso la piega che ha ora, né che avrei fatto carriera
nell’esercito.
Tuttavia, è proprio quell’incontro a rendere tanto strana la mia vita adesso. Mi sono
innamorato di lei mentre eravamo insieme e poi ancora di più durante gli anni in cui
siamo stati separati. La nostra storia si divide in tre: un inizio, una parte centrale e una
fine. E sebbene sia questo il naturale svolgimento di tutte le storie...>>.
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