venerdì 21 marzo 2008

LA QUESTIONE NAZIONALE/Ultima parte (vista da Marx e Engels).

5. Le considerazioni di Engels sui sedicenti "popoli senza storia" erano di tutt'altra natura. Nel suo vocabolario questo termine designa le nazioni cui fanno difetto le "condizioni storiche, geografiche, politiche e industriali dell'indipendenza e dell'energia vitale". Engels così si esprimeva: "I popoli [Völker] che non hanno mai avuto il controllo della propria storia, che ­ nel momento stesso in cui essa arriva al primo rozzo scalino della civilizzazione ­ si ritrovano già sotto la dominazione straniera, o arrivano a questo primo grado di civilizzazione sotto l'effetto del giogo straniero, non hanno energia [Lebensfähigkeit] e non arriveranno mai a una qualsiasi forma di indipendenza". Engels si riferiva a quelle nazioni (popoli) che avevano subito la dominazione di uno stato straniero durante tutta la loro storia e che, secondo la sua opinione, erano condannate ad essere egemonizzate dalle nazioni socialmente e economicamente più avanzate. Engels proseguiva sottolineando: "Non esistono in Europa paesi che non possiedano, in un angolo o in un altro, uno o più frammenti di popoli [Völkerruinen], tracce di antiche popolazioni cancellate dalle carte e tenute in schiavitù dalla nazione che diventa più tardi il principale veicolo di sviluppo storico [Trägerin der geschichtlichen Entwicklung]. Tali reliquie di una nazione, calpestate senza pietà dal corso della storia, come Hegel qualificava questi residui di popoli [Völkerabfallel], diventano sempre i portabandiera fanatici della controrivoluzione e sopravvivono così fino alla loro estinzione completa o alla perdita del loro carattere nazionale [gänzlichen Vertilgung oder Entnationalisierung], così che la loro intera esistenza costituisce di per se stessa una sorta di oltraggio ad una grande rivoluzione storica".Questa categoria includeva, sempre secondo Engels, i Gaelici di Scozia, i Bretoni, i Baschi, gli Ebrei di lingua yiddish delle comunità dell'Europa orientale e in particolare gli Slavi del Sud.Secondo Engels, nel 1848 le grandi nazioni europee erano nel campo della rivoluzione, mentre gli slavi (ad eccezione dei Polacchi) erano alleati dello zarismo nel campo della reazione. Engels non si preoccupava di capire le cause sociali del ruolo "vandeano" svolto da questi movimenti nazionali nel 1848, ma lo attribuiva semplicemente alla loro supposta natura "controrivoluzionaria". Il fiasco delle rivoluzioni del 1848 risiedeva in cause precise del tutto diverse dalla natura "vandeana" degli Slavi del Sud. Al contrario, queste sconfitte si collocavano in un contesto storico preciso: un'epoca testimone dell'esaurimento del potenziale rivoluzionario della borghesia (incapace di risolvere i principali problemi all'ordine del giorno: le questioni nazionali e agrarie) e del fatto che il proletariato non era ancora pronto a prendere il potere. In altri termini, era troppo tardi per una rivoluzione borghese e troppo presto per una rivoluzione socialista.La teoria di Engels sui "popoli senza storia" è stata acutamente criticata da Roman Rosdolsky, che ha provato la sua fondamentale incoerenza. Egli spiega il ruolo reazionario giocato dai movimenti nazionali slavi durante le insurrezioni del 1848 alla luce delle contraddizioni intrinseche alla rivoluzione in Europa orientale: le poche nazioni che lottavano per la loro liberazione, come la Polonia e l'Ungheria, opprimevano altre nazionalità e minoranze etniche al loro interno. La borghesia e l'aristocrazia terriera formavano le forze sociali dominanti del movimento polacco e magiaro che si opponevano alle altre "nazioni contadine". I Ruteni (Ucraina) di Galizia, per esempio, non sostenevano le rivendicazioni indipendentiste dei Polacchi, poiché già difendevano gli embrioni della propria identità nazionale, un'identità nazionale che esprimeva essa stessa il conflitto di classe che le opponeva ai proprietari terrieri polacchi. I Serbi, i Croati, i Rumeni, gli Slovacchi e tutte le altre "nazionalità contadine" dell'Europa sudorientale conservavano la stessa attitudine rispetto a Tedeschi e Magiari. In realtà, questi sedicenti "popoli senza storia" avrebbero partecipato alla rivoluzione se avessero potuto ottenere una riforma agraria dalla borghesia e dall'aristocrazia terriera, ma la direzione sciovinista e conservatrice dei movimenti nazionali tedeschi, polacchi e magiari non accettò questa riforma e spinse così le masse rivoluzionarie nelle braccia della controrivoluzione zarista. Invece di comprendere ­ grazie a un metodo marxista ­ le radici sociali del movimento panslavista, Engels disegnò una carta d'Europa basata su due categorie: le "nazioni rivoluzionarie" e i "popoli senza storia", le prime considerate come storicamente vitali, mentre le seconde erano relegate alla condizione di schegge senza vita del passato. Questa concezione, che nega a priori l'eventualità di un risveglio successivo dei "popoli senza storia", è del tutto antidialettica. Rosdolsky prova, attraverso abbondanti citazioni, che anche dopo il 1848 Engels mantenne la sua visione della rivoluzione in Europa centrale e orientale come fondamentalmente tedesca, con gli stessi alleati (in primo luogo i Polacchi) e gli stessi nemici (la Russia zarista e il movimento panslavista).A partire dalla fine del XIX secolo, con la nascita del movimento socialista nei balcani, Kautsky ha denunciato l'errore di Engels. Nel 1907, Otto Bauer nella sua summa sulla questione nazionale, criticava Engels e riconosceva gli sviluppi socio-culturali delle differenti nazionalità slave (cioè il loro adattamento alla modernità). Nella sua critica, Rosdolsky introduce un altro elemento: egli spiega che durante la rivoluzione di Cromwell (1599-1658) gli Irlandesi ­ le cui rivendicazioni dei diritti nazionali erano sostenute come legittime da Marx ed Engels ­ svolsero lo stesso ruolo reazionario avuto poi dagli slavi austriaci nel 1848. Nondimeno, costruirono più tardi un movimento nazionalista anti-imperialista. Basandosi su una critica alla posizione della Neue Rheinische Zeitung, Rosdolsky costruisce una brillante analisi marxista della questione nazionale durante la rivoluzione del 1848. Lontano dal cadere di nuovo, come pensa Nimni, nel "tranello paradigmatico" di Engels sulle nazioni "storiche e non storiche", egli giunge a conclusioni molto chiare: la teoria dei geschichtlosen Völker non è altro che un "residuo della concezione idealista della storia e perciò estraneo al sistema teorico marxista".Noi siamo d'accordo con Nimni quando dichiara che l'attitudine di Engels verso le nazioni slave del Sud rivela qualche elemento di evoluzionismo positivista, di determinismo economico e di eurocentrismo. L'amico di Marx aveva senza alcun dubbio interiorizzato alcuni pregiudizi culturali dell'Europa del XIX secolo, ma sarebbe sbagliato generalizzare questo atteggiamento: il concetto di "popolo senza storia" non rappresenta che un aspetto dell'approccio di Engels sulla questione nazionale.Dalla fine del XIX secolo, le idee marxiste si diffusero largamente tra le minoranze etniche extraterritoriali e le sedicenti "nazioni non storiche" dell'Europa centrale e orientale. Il movimento operaio e l'intellighenzia socialista di queste nazioni trovarono nel marxismo il miglior strumento intellettuale per spiegare la loro oppressione, per comprendere il processo storico di formazione della loro identità culturale e, infine, per elaborare un progetto di liberazione sia sociale sia nazionale. Il concetto di autonomia culturale nazionale fu dapprima creato dalle correnti marxiste all'interno delle nazionalità oppresse come gli Slavi (Federazione slava della socialdemocrazia austriaca), gli Ebrei (il Bund) e gli Armeni ("Specifisti"). I socialisti ucraini (Rosdolsky), boemi (Smeral), bulgari (Blagoev), romeni (Dobrogeanu-Gherea), georgiani (Jordania), così come gli austro-slavi (Kristan) e i socialisti russi ebrei (Medem, Borokhov) utilizzarono il marxismo per analizzare le loro differenti realtà nazionali. La teoria dei "popoli senza storia" pareva loro totalmente sbagliata e inutilizzabile, ma ciò non era una ragione sufficiente per abbandonare il complesso della teoria marxista sulla questione nazionale. Tra le de guerre, i marxisti spagnoli che contribuirono maggiormente allo sviluppo dell'analisi teorica sulla questione nazionale furono Andreu Nin, un catalano, e i fratelli Arenillas, due baschi. Se, dopo la morte di Engels, il dibattito sulla questione nazionale si è tanto sviluppato in seno al marxismo, soprattutto sotto l'influenza dei socialisti appartenenti a minoranze etniche e a nazioni oppresse, ciò significa che, su questo argomento, nei testi marxisti classici esistevano alcuni seri limiti che non permettevano di "risolvere" la questione (ciò è perlomeno evidente), ma ugualmente che la teoria marxista era indispensabile per confrontare le sfide proposte dalla questione nazionale.6. Per concludere: se il concetto di nazione come elaborato da Marx ed Engels resta vago e incompleto, se la teoria di Engels sui popoli "non storici" è una metafora pseudostorica del tutto estranea al marxismo, cosa resta della loro riflessione sul problema nazionale? Cercheremo di rispondere a questa domanda sintetizzando gli apporti dell'atteggiamento marxista classico.Nel 1867, quando Marx ed Engels rivolsero di nuovo l'attenzione alla questione irlandese, individuarono un elemento teorico fondamentale: la divisione tra nazioni dominanti e nazioni oppresse. Essi consideravano la dominazione coloniale dell'Irlanda non solo come l'origine dell'oppressione del popolo irlandese, ma anche come la chiave per comprendere l'impotenza della classe operaia inglese, il proletariato più numeroso e meglio organizzato del mondo nella seconda metà del XIX secolo. Lo sciovinismo e i sentimenti di superiorità nazionale dei lavoratori inglesi verso gli irlandesi facevano il gioco della borghesia britannica, che sfruttava questo antagonismo per mantenere la dominazione in Irlanda e opprimere il proletariato inglese. Marx scriveva nel 1870: "In tutti i centri industriali e commerciali d'Inghilterra si ritrova oggi una classe operaia divisa in due campi ostili, i proletari inglesi e i proletari irlandesi. Il lavoratore inglese ordinario odia il lavoratore irlandese in quanto concorrente causa di abbassamento del suo livello di vita. Di fronte al lavoratore irlandese, si sente egli stesso membro della nazione dominante e si trasforma così in strumento degli aristocratici e dei capitalisti contro l'Irlanda, rinforzando di fatto la loro dominazione su lui stesso. Questo antagonismo è il segreto dell'impotenza della classe operaia inglese, nonostante la sua organizzazione. È il segreto grazie al quale la classe capitalista fonda il suo potere e di cui è del tutto cosciente".Marx formulava dunque due concetti che diventeranno la base della teoria di Lenin sull'autodeterminazione nazionale: 1° la nazione che ne opprime un'altra non può essere considerata come libera (Engels riteneva che per un popolo dominarne un altro fosse una "disgrazia"); 2° la liberazione delle nazioni oppresse è una delle condizioni della rivoluzione socialista all'interno della nazione dominante.Oggi, questo approccio conserva tutta la sua importanza e validità, e costituisce una premessa assolutamente necessaria per lo sviluppo e l'arricchimento del pensiero marxista. Questo approccio metodologico non è segnato né dal determinismo storico né dall'eurocentrismo ma fornisce semplicemente una bussola indispensabile per chi crede nell'internazionalismo. Non possiamo considerarci marxisti senza sostenere in Francia il diritto all'autodeterminazione dei Kanaki della Nuova Caledonia, in Israele quello dei Palestinesi, in ex-Jugoslavia quello degli Albanesi del Kosovo, in Iran, Irak, Siria e Turchia quello dei Kurdi. Se Ephraim Nimni condivide il nostro pensiero ­ come speriamo ­ su questa conclusione, deve allora riconoscere che è possibile criticare l'approccio di Marx ed Engels sulla questione nazionale senza peraltro rigettare in blocco il marxismo.(Fine)
Tratto da "PATRIES OU PLANÈTE? ",Di Michael Löwy, 1997, Editions Page Deux, 1997 (traduzione dal francese).

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