martedì 18 marzo 2008

OGGI,LEZIONE DI STORIA (a cura del prof.Antonio Ciano)

Con queste pagine vogliamo dare una informazione corretta su ciò che i Savoia hanno rappresentato per il Nord e per il Sud. Rappresentiamo i primi due eccidi di Stato, quello di Genova del 1849 e quello di Bronte in Sicilia nel 1860, ma ne seguirono a centinaia, da quello dell'assedio di Gaeta con circa quattromila vittime, senza dichiarazione di guerra, al milione di morti a causa della guerra civile chiamata lotta di repressione del brigantaggio. Il brani seguenti sono tratti dal libro "Le stragi e gli eccidi dei Savoia" di Antonio CianoGenova 1849: un eccidio infame.Raramente si legge sui libri di storia degli eccidi che i Savoia hanno perpetrato in Italia. Noi abbiamo il dovere di elencarne alcuni.

Cominciamo con quello di Genova del 1849 quando i genovesi, nostalgici dell'antica repubblica, amanti della libertà e della loro autonomia, stanchi di essere sottoposti a taglieggiamenti di ogni tipo dalle autorità piemontesi, stanchi di pagare solo tasse e balzelli a Torino, abituati a solcare i mari di tutto il mondo con le loro navi e le loro banche a tessere contratti commerciali, da che erano finiti nelle mani dei Savoia cominciarono ad emigrare a causa della politica accentratrice e restrittiva liberista del Governo centrale. Il Piemonte, Stato poverissimo, prettamente terriero, con Carlo Alberto cominciò la sua politica espansionistica ai danni dei vari stati italiani. Primi a pagare il dazio furono la Sardegna e la Liguria, parte della quale, la contea di Nizza, fu addirittura svenduta alla Francia assieme alla Savoia nel 1860.Ma i genovesi avevano nel sangue il gene della libertà. Genova era stata repubblica marinara assieme a Venezia, Pisa, Gaeta e Amalfi, e i suoi abitanti non sopportavano essere governati da una masnada di imbecilli che nulla sapevano di traffici commerciali globali, a Genova era nato Cristoforo Colombo che per primo portò la croce di Cristo nelle Americhe. Nel 1849 Genova si ribellò al potere centrale savoiardo, si ribellò alla tirannide dei Savoia come un sol uomo; il popolo tutto si armò, le forze dell'ordine che vollero contrastare la sete di libertà dei genovesi furono sopraffatte. Su ordine governativo, il generale dei bersaglieri Alfonso Lamarmora, con trentamila soldati si diresse verso il capoluogo ligure. Costantino Reta mandò un messaggio al generale piemontese scongiurandolo, nel nome dell'Italia a non portare armi contro i propri fratelli mentre l'esercito austriaco alle spalle invadeva le nostre province. Lamarmora era piemontese e parlava francese, proprio come il suo re Victor Emmanuelle II e gli italiani erano considerati nemici da annettere, da soggiogare. I genovesi avevano il torto di essere italiani e repubblicani, perciò da massacrare due volte. Il generale Lamarmora divenne assassino e criminale di guerra in quella occasione e presto avrà il suo nome tolto dalla toponomastica genovese e italiana, come pure i suoi padroni Savoia: fece massacrare settecento tra soldati e popolani. I bersaglieri usarono ogni tipo di ferocia contro coloro che non vollero arrendersi alle orde savoiarde; meglio morire sotto le cannonate che sottostare alla tirannide. Viva l'Italia, gridavano i genovesi e Lamarmora, il piemontese, li massacrò.


"Genovese da forca" -Leggiamo dallo scritto di un anonimo genovese che:<<...Il generale Lamarmora che conducea quei bersaglieri, dicesi di cacciare dai veroni quanti loro occorrevano. L'inumano comando però venne eseguito, e solo ad un povero vecchio che chiedeva pietà, un ufficiale piantava una pugnalata al cuore dicendo: "ecco la pietà che tu meriti, genovese da forca". Condotti i prigionieri al cospetto di Alessandro Lamarmora, questi per la seconda volta volea che si fucilasse quella canaglia, e un giovinetto lombardo che primo loro accorse alle mani s'ebbe rotta la fronte con cinque palle. Intrepidi aspettavano gli altri il comandato supplizio, ma maggiori strazii che la morte non era, furono destinati a subire. Sospesa la loro condanna si tradussero innanzi al generale supremo. In quel fiero tragitto i soldati li percuotevano a gara con pugni, ceffate, non risparmiando loro ogni modo dicendogli ladri e assassini minacciava a sua volta di sterminarli...spogliati di ogni lor cosa, furono gittati in un lurido carcere. Chiusi nel forte della Crocetta ci stettero fino al giorno di Pasqua, tormentati dalla fame e da orrori inenarrabili, veramente barbarici. Allora entrarono nell'angusto recinto due ufficiali ordinando che si schierassero in quattro file, se ne registrassero i nomi, dovendo subire l'estrema condanna..." ( Della rivoluzione di Genova, Tipografia Dagnino, Marsiglia, novembre 1849)


"Vile ed infetta razza di canaglie"-I genovesi, fieri d'esser figli dell'antica repubblica marinara, fieri di essere italiani, combatterono strenuamente contro i vigliacchi piemontesi. Furono sopraffatti da un esercito di trentamila uomini, i morti furono centinaia e mentre i genovesi morivano sotto i colpi di cannoni e sotto le macerie "...soldati di ogni arma, carabinieri e bassi uffiziali compresi, a drappelli si disseminarono in tutto il quartiere di San Teodoro e nelle suddette colline. Alcuni si stettero battendo contro i pochi armati che difendevano le barricate ed altre posizioni, e gli altri, quasi orde di barbari o di briganti, si presentarono armata mano alle abitazioni dei pacifici cittadini...ma ciò che più rifugge, signori, è vedere tentata una madre già depredata e gettata sul letto alla presenza degli innocenti figli e di tutta la famiglia; ed un marito legato ad una tavola, dover assistere all'onta che gli si faceva...Entrati nelle case con aria minacciosa, alcuni allegavano il pretesto di voler perquisire armi; altri che volevano mangiare, la maggior parte poi calata ogni maschera furibondi gridavano " Denari, denari o la vita" ed appuntate le carabine, pistole, baionette, sciabole e pugnali al petto od alle gole dei tremanti ed inermi cittadini, se non ferivano od uccidevano, minacciavano morte immediata forzando anche i pazienti ad inginocchiarsi e recitare l'atto di contrizione..." ( Relazione dei danni subiti dalla popolazione di Genova).Dopo aver represso nel sangue il grido di libertà di Genova che si era proclamata indipendente, Vittorio Emanuele II di Savoia ordinò:" Punite quella vile ed infetta razza di canaglie".


Bronte-Garibaldi, in Sicilia, deve la sua fortunata vicenda alla credenza popolare che lo voleva condottiero invincibile a difesa dei poveri e della giustizia. La massoneria aveva lavorato non poco a spargere questo alone attorno al generale nizzardo. A Bronte successe qualcosa che smascherò definitivamente la sua indole di pirata ed assassino a difesa dei ricchi e dei suoi padroni inglesi. A Bronte venne perpetrato il primo eccidio dello Stato non ancora unitario, in nome dei Savoia. Nel 1860, i contadini siciliani, ai quali era stato fatto credere che la rivoluzione liberale significasse divisione delle terre comunali e baronali, come nel 1848 assaltarono i latifondi dei galantuomini e non. A Bronte arrivarono notizie di rivolte in tutti i paesi della provincia di Catania. Divisione di terre si stavano effettuando ad Adrano, a Biancavilla, a Regalbuto e dividere le ricchezze significava comunismo.


"PICCHI' NON SI LEVA STA PEZZA LORDA?A Bronte "... Il partito dei comunisti organizzò per domenica 5 agosto una manifestazione pacifica di protesta, per sollecitare la divisione dei beni demaniali... serpeggiava già tra i villici la volontà di farsi giustizia da sé e il desiderio del saccheggio per le troppe angherie subite...nell'aria si addensavano foschi presagi...la convinzione di essere scampati a quella falsa rivoluzione garibaldina che li avevano lasciati padroni come prima, accecava i galantuomini, rendendoli vieppiù arroganti...il notaio Cannata aveva anche insultato dei dimostranti che inalberavano una bandiera tricolore: " Picchì non si leva sta pezza lorda?"( Salvatore Scalia, Processo a Bixio, Giuseppe Maimone Editore, Catania, 1991, pag. 38)Il notaio Cannata aveva capito che Garibaldi stava dalla parte dei galantuomini e che rivoluzione liberale significava liberismo economico, quello di cui i galantuomini erano portatori. I contadini, convinti del contrario, convinti che era giunta l'ora del giudizio, guidati da un certo Gasparozzo e dal muratore Rosario Aidala occuparono Bronte. Volevano solo la divisione delle terre e al grido di " Viva l'Italia, viva Garibaldi" si scatenò l'inferno. Così Scalia ci racconta quella rivolta: " ...Il notaio Cannata è torturato ed evirato, del suo corpo viene fatto scempio. Un malettese affonda il coltello nella sua carne e lecca il sangue dalla lama. Altri dodici galantuomini saranno trucidati, tra cui un chierico. Non fu stuprata né uccisa nessuna donna..."( Salvatore Scalia, Ibidem, pag. 39) E cominciò così la caccia ai terreni della Ducea di Nelson."...Garibaldi, tempestato dai telegrammi del console inglese che lo pregava di intervenire perché fossero preservate le proprietà della Ducea di Nelson, inviò Bixio a domare una rivolta già sedata, ma che rischiava di contagiare i paesi di Linguaglossa, Randazzo, Centuripe e Castiglione. Bixio nel suo diario appare maggiormente consapevole della reale consistenza degli avvenimenti:" Secondo il presidente del consiglio del comune di Bronte la causa è la divisione voluta dei beni comunali, la stessa opinione hanno il delegato e il presidente del consiglio comunale. Secondo il delegato di Catania il presidente del Consiglio municipale Sig. Nicolò Lombardo sarebbe il capo della rivoluzione comunista" (Salvatore Scalia, Ibidem, pag. 44)Lombardo non era un comunista, era un vecchio liberale che aveva combattuto in nome di Pio IX e della Rivoluzione Liberale nel 1848 contro i Borbone a Catania e aveva cercato di moderare la rivolta di Bronte. Ma i rivoltosi comunisti miravano ai possedimenti inglesi della Ducea di Nelson, cosa gravissima. Gli inglesi, fomentatori di rivolte in tutto il mondo, patrocinatori di Carlo Marx, non potevano far realizzare la rivoluzione comunista proprio a danno di un suddito di Sua Maestà Britannica. Bixio doveva dare l'esempio e pur sapendo che gli insorti erano tutti fuggiti, come dimostra una sua lettera al maggiore Dezza, mette le mani sul Lombardo, ritenuto dal generale garibaldino uno dei capi della rivolta comunista. Fatto grave! Bixio già sapeva quale ideologia doveva colpire. E dopo un processo sommario fece fucilare, oltre al Lombardo anche lo scemo del paese Nunzio Ciraldo Fraiunco, Samperi Spiridione, Nunzio Longhitano Longi e Nunzio Spitaleri Nunno. Dopo quella esecuzione Bixio fece affiggere un manifesto nei comuni di Francavilla, Castiglione, Linguaglossa, Randazzo, Maletto, Bronte, Cesarò, Centuripe e Regalbuto: " La Corte di Napoli ha educato una parte di voi al delitto e oggi vi spinge a commetterlo; una mano satanica vi dirige all'assassinio, all'incendio, al furto per poi mostrarvi all'Europa inorridita e dire: ecco la Sicilia in libertà. Come! Voi volete esser segnati a dito dai vostri stessi nemici messi al bando della civiltà? Volete voi che il Dittatore sia costretto a scrivere: Stritolate quei malvagi? Con noi poche parole: o voi rimanete tranquilli, o noi come amici della patria vi distruggiamo come nemici dell'umanità".Nino Bixio mise a ferro e fuoco non solo la Sicilia ma anche la parte continentale del Reame. Da solo eseguì 700 fucilazioni e sempre in nome di Garibaldi, dei Savoia e della sua patria. Per il rimorso fuggì dall'Italia e morì coleroso.


Il sud a ferro e fuoco ( 250 fucilati a L'Aquila e Avezzano)-Per capire come il profondo Sud, oggi, sia così arretrato socialmente ed economicamente, bisogna affondare il bisturi della memoria nella ferita infetta della storia d'Italia. Tutto ha origine nell'invasione giacobina del 1799. Nel 1860 Giuseppe Garibaldi in Sicilia continuò le gesta di Manhés e la stessa cosa fece Vittorio Emanuele II negli Abruzzi, quando una miriade di contadini si schierarono dalla parte dei Borbone e contro quella che i piemontesi chiamarono unità d'Italia e che altri non era che espansione economica, sociale, militare del Regno di Sardegna ai danni del Regno delle Due Sicilie. Nella sola provincia dell'Aquila, in pochi giorni vi furono 147 fucilati; in un comune del distretto di Avezzano fucilati oltre a 40 contadini in fascio, essendosi infierito pure contro donne e bambini ed altri 50 furono fucilati nella provincia stessa.( La Civiltà Cattolica, Vol. IX, Serie IV, Anno 1861, pag.393)526 fucilati a Teramo.Nell'agosto del 1861, nel Teramano furono fucilati 526 contadini, senza pietà; uomini, donne e bambini furono trucidati come bestie.

Una vera ecatombe.Il Piemonte desertificò il Sud allora prospero, pieno di industrie, di denaro, d'oro, di banche, di terreni demaniali e soprattutto di beni ecclesiastici. Per compiere tale operazione criminale i Savoia si avvalsero della loro casta militare inquadrata nell'esercito ed ammaestrata ai crimini di guerra, al genocidio, agli eccidi di massa. Il Governo piemontese aveva impartito ordini precisi ed infami contro il Sud e i generali felloni applicarono alla lettera le direttive delle prefetture e del governo centrale, diffondendo ordini criminali e assoldando pentiti e collaboratori, per lo più di idee liberali. I bandi indirizzati alle popolazioni meridionali erano di una barbarie tale che, perfino il governo centrale di Torino, dietro pressione dell'opinione pubblica internazionale, fu costretto a richiamare parecchi ufficiali per poi insignirli di medaglie d'oro e d'argento. Secondo Cesare Cesari( Il brigantaggio e l'opera dell'esercito italiano dal 1860 al 1870, pag. 168-179) furono concesse dal governo dei "fratelli d'Italia" piemontesi quattro medaglie d'oro, 2.375 d'argento e 5.012 menzioni onorevoli e ciò per reprimere ed assassinare i Meridionali. Tra i primi insigniti vi fu il generale Ferdinando Pinelli che, ancor prima di passare il confine col Regno delle Due Sicilie, fu accolto nell'ascolano da migliaia di contadini. Quei rozzi montanari non l'accolsero con rose e fiori, come i professorelli di regime vanno insegnando nelle scuole, ma con fucili e pietre, una delle quali gli ruppe le corna galliche che portava in fronte, al che, incavolandosi, diramò un bando che fece inorridire le corti d'Europa; eccolo:<< Ufficiali, soldati!Voi molto operaste, ma nulla è fatto quando qualche cosa rimane da fare. Un branco di quella progenie di ladroni ancora si annida tra i monti, correte a snidarli e siate inesorabili come il destino. Contro nemici tali la pietà è delitto.Vili e genuflessi, quando vi vedono in numero, proditoriamente vi assalgono alle spalle, quando vi credono deboli, e massacrano i feriti.Indifferenti ad ogni principio politico, avidi solo di preda e di rapina, or sono i prezzolati scherani del vicario, non di Cristo, ma di Satana, pronti a vendere ad altri il loro pugnale. Quando l'oro carpito alla stupida crudeltà non basterà più a sbramare le loro voglie, noi li annienteremo; schiacceremo il sacerdotal vampiro, che con le sozze labbra succhia da secoli il sangue della madre nostra, PURIFICHEREMO COL FERRO E COL FUOCO LE REGIONI INFESTATE DALL'IMMONDA SUA BAVA, e da quelle ceneri sorgerà rigogliosa e forte la libertà, anche per la provincia ascolana>>,Fir.to Ferdinando Pinelli.
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Sopra, la copertina di uno dei tanti libri realizzati dal professore Antonio Ciano ( prol@libero.it),
coordinatore nazionale del Partito del Sud-Alleanza Meridionale (www.partitodelsud.it)



1 commento:

Anonimo ha detto...

professore Antonio Ciano? professore di che?