Beppe Grillo, un comico puntuto. Che cerca di diventare – in questa brodaglia della vita politica italiana pubblica, che ha preceduto e fatto seguito al voto di aprile e al suicidio della sinistra – protagonista politico. Ma è un profeta, o un ciarlatano? Proviamo a capire.
Con il legittimo sospetto di chi sa che nella storia d'Italia di profeti-ciarlatani ne sono stati allevati tanti, fino all'inestimabile signore che lo stesso Beppe Grillo definisce lo psiconano.
Vorrei occuparmi di un solo problema. E porre alcune domande. Grillo lancia tre referendum. E' una miscela ben costruita, accorta. La cancellazione dell'Ordine dei giornalisti, di cui si può discutere. L'abolizione della Legge Gasparri, che non avrebbe mai dovuto essere ratificata, perché per molti aspetti è incostituzionale. E l'abrogazione dei contributi pubblici all'editoria. Voglio fermarmi solo su quest'ultima cosa. Perché riguarda direttamente il manifesto? Anche. Ma soprattutto perché è un nodo rivelatore di una grande questione, che attiene alla libertà di stampa.
La mia prima domanda. Grillo sa che nell'universo di tutti i quotidiani italiani la pubblicità rappresenta [secondo l'ultima rilevazione ufficiale fatta Autorità garante delle Comunicazioni, per il 2006] il 48 per cento del fatturato. E che perciò le grandi imprese inserzioniste sono diventate, insieme ai lettori, la vera risorsa dei giornali? [Anzi sono la prima risorsa, perché i lettori sono tanti e sparsi e coloro che fanno pubblicità potenti e pochi]. Ha ragioni per meravigliarsi se lo scandalo Parmalat non lo scoprano non solo le autorità bancarie, ma nemmeno i giornali economici: e bisogna aspettare i magistrati?
Seconda domanda. Grillo sa che in Italia nella carta stampata [dove esisteva una tradizione di grande pluralismo] è in corso un processo di concentrazione da far paura, e che c'è un mercato al minuto impressionate di acquisto di testate locali da parte dei grandi gruppi? E che si afferma anche tra i giornali quel processo di concentrazione che inutilmente deprechiamo nel sistema televisivo?
Terza domanda. Grillo, quando parla di contributi all'editoria, si riferisce di solito ai contributi diretti, che vengono dati ai giornali cooperativi [gestiti e di proprietà di chi li produce] e ai giornali di partito; ma anche, purtroppo, agli ex giornali di movimento politico [tra questi ci sono Libero e Il rifomista, tutti due riconducibili al gruppo sanitario Angelucci – dipendente in ogni sua attività da contributi pubblici , e l'ineffabile Il Foglio, che ha tra i suoi soci Giuliano Ferrara e la signora Berlusconi]? Stiamo parlando di cose diverse, o no?
Quarta domanda. Grillo sa che i contributi diretti rappresentano un costo 170 milioni di euro circa e i contributi postali sono invece 305 milioni. Domande correlate: a. Grillo lo sa che il secondo percettore di contributi pubblici all'editoria è il giornale di Confindustria, Il Sole 24 ore [con 17,822 milioni di contributi postali nell'ultimo anno censito dall'Autorità garante della concorrenza: ma forse non può saperlo, perché pare che non ne siano consapevoli nemmeno i suoi redattori economici e il suo direttore, abituati a pontificare contro i contributi pubblici, come lo stesso Grillo. La cosa singolare è poi che nello stesso bilancio Il Sole esibiva utili per 5,494 milioni, di cui 5,400 venivano ripartiti come dividendi agli azionisti: Confindustria]? b. E sa che il Gruppo Mondadori nello stesso anno percepiva contributi per circa 18,877 milioni di euro [ed era il primo in graduatoria, è ovvio]? E il Gruppo Rcs 13,763? Forse queste cose Grillo non può saperle.
Ma Grillo sa forse che in Italia non esiste un solo editore puro, che non sia un giornale prodotto da chi ci scrive, cioè dai lavoratori associati in cooperativa? Prima non era così; oggi sì. Chi ha la proprietà di un giornale [escluse le cooperative di giornalisti] ha interessi consolidati in campo industriale, finanziario o nei servizi; e li usa per contare e condizionare le scelte di chi governa.
Questo è il nodo da sciogliere. Grillo invece sembra proporre che la salvezza stia nel togliere a destra e a manca ogni contributo pubblico all'informazione: e nel lasciare mano libera al mercato. Complimenti!!
Grillo, infatti, sicuramente non sa che i giornali autogestiti, in cooperativa, che sono oggi (insisto) gli unici editori puri, sono nati o per affermare un progetto politico [come il manifesto], custodito gelosamente da qualsiasi capacità di condizionamento esterna [anche dei governi, che si sono succeduti]. O che hanno preso corpo quando le vecchie imprese che li gestivano hanno gettato la spugna, e i lavoratori hanno deciso di continuare l'attività con grandi sacrifici, per mantenere in vita una voce. E Grillo sicuramente non sa [o non lo capisce?] che il mercato non sempre è regolato da norme di mercato; ma è una realtà inafferrabile, che distingue, separa, discrimina. Per esempio tende a negare un soggetto con una personalità troppo forte come il manifesto [e tante altre cooperative o giornali politici con noi], che ha solo l'11,7 per cento di entrate pubblicitarie, malgrado sia un giornale che ha un fortissimo legame con i suoi lettori [e perciò gode di una rilevante influenza su di essi]. Ma può stare in piedi un tavolo con due sole gambe, come sono le testate discriminate sul mercato della pubblicità?
I contributi diretti sono nati per correggere una distorsione del mercato e garantire la sopravvivenza di voci, che altrimenti sarebbero state cancellate [spesso voci dalla parte del torto]. Il predominio esclusivo del mercato significherebbe oggi una riduzione inaccettabile del pluralismo, in una fase in cui la vecchia talpa del capitalismo sta scavando già troppo a fondo. Dispiace che un comico che è stato discriminato per ragioni politiche da quello che allora era il monopolio televisivo sia diventato il primo sostenitore del mercato su una materia vitale come l'informazione. È nel mercato, infatti, che oggi nascono i nuovi tychoons, che aspirano al dominio anche politico del paese. E l'informazione dovrebbe essere messa al riparo dai poteri forti, e il pluralismo garantito, come vuole la Costituzione. E' un caso che nel nome della libertà sia stata costruita in Italia una casa, che spinge il paese ad una regressione culturale e politica da paura? Siamo pronti, in ogni momento a discutere con Grillo della libertà d'informazione.
Vorrei occuparmi di un solo problema. E porre alcune domande. Grillo lancia tre referendum. E' una miscela ben costruita, accorta. La cancellazione dell'Ordine dei giornalisti, di cui si può discutere. L'abolizione della Legge Gasparri, che non avrebbe mai dovuto essere ratificata, perché per molti aspetti è incostituzionale. E l'abrogazione dei contributi pubblici all'editoria. Voglio fermarmi solo su quest'ultima cosa. Perché riguarda direttamente il manifesto? Anche. Ma soprattutto perché è un nodo rivelatore di una grande questione, che attiene alla libertà di stampa.
La mia prima domanda. Grillo sa che nell'universo di tutti i quotidiani italiani la pubblicità rappresenta [secondo l'ultima rilevazione ufficiale fatta Autorità garante delle Comunicazioni, per il 2006] il 48 per cento del fatturato. E che perciò le grandi imprese inserzioniste sono diventate, insieme ai lettori, la vera risorsa dei giornali? [Anzi sono la prima risorsa, perché i lettori sono tanti e sparsi e coloro che fanno pubblicità potenti e pochi]. Ha ragioni per meravigliarsi se lo scandalo Parmalat non lo scoprano non solo le autorità bancarie, ma nemmeno i giornali economici: e bisogna aspettare i magistrati?
Seconda domanda. Grillo sa che in Italia nella carta stampata [dove esisteva una tradizione di grande pluralismo] è in corso un processo di concentrazione da far paura, e che c'è un mercato al minuto impressionate di acquisto di testate locali da parte dei grandi gruppi? E che si afferma anche tra i giornali quel processo di concentrazione che inutilmente deprechiamo nel sistema televisivo?
Terza domanda. Grillo, quando parla di contributi all'editoria, si riferisce di solito ai contributi diretti, che vengono dati ai giornali cooperativi [gestiti e di proprietà di chi li produce] e ai giornali di partito; ma anche, purtroppo, agli ex giornali di movimento politico [tra questi ci sono Libero e Il rifomista, tutti due riconducibili al gruppo sanitario Angelucci – dipendente in ogni sua attività da contributi pubblici , e l'ineffabile Il Foglio, che ha tra i suoi soci Giuliano Ferrara e la signora Berlusconi]? Stiamo parlando di cose diverse, o no?
Quarta domanda. Grillo sa che i contributi diretti rappresentano un costo 170 milioni di euro circa e i contributi postali sono invece 305 milioni. Domande correlate: a. Grillo lo sa che il secondo percettore di contributi pubblici all'editoria è il giornale di Confindustria, Il Sole 24 ore [con 17,822 milioni di contributi postali nell'ultimo anno censito dall'Autorità garante della concorrenza: ma forse non può saperlo, perché pare che non ne siano consapevoli nemmeno i suoi redattori economici e il suo direttore, abituati a pontificare contro i contributi pubblici, come lo stesso Grillo. La cosa singolare è poi che nello stesso bilancio Il Sole esibiva utili per 5,494 milioni, di cui 5,400 venivano ripartiti come dividendi agli azionisti: Confindustria]? b. E sa che il Gruppo Mondadori nello stesso anno percepiva contributi per circa 18,877 milioni di euro [ed era il primo in graduatoria, è ovvio]? E il Gruppo Rcs 13,763? Forse queste cose Grillo non può saperle.
Ma Grillo sa forse che in Italia non esiste un solo editore puro, che non sia un giornale prodotto da chi ci scrive, cioè dai lavoratori associati in cooperativa? Prima non era così; oggi sì. Chi ha la proprietà di un giornale [escluse le cooperative di giornalisti] ha interessi consolidati in campo industriale, finanziario o nei servizi; e li usa per contare e condizionare le scelte di chi governa.
Questo è il nodo da sciogliere. Grillo invece sembra proporre che la salvezza stia nel togliere a destra e a manca ogni contributo pubblico all'informazione: e nel lasciare mano libera al mercato. Complimenti!!
Grillo, infatti, sicuramente non sa che i giornali autogestiti, in cooperativa, che sono oggi (insisto) gli unici editori puri, sono nati o per affermare un progetto politico [come il manifesto], custodito gelosamente da qualsiasi capacità di condizionamento esterna [anche dei governi, che si sono succeduti]. O che hanno preso corpo quando le vecchie imprese che li gestivano hanno gettato la spugna, e i lavoratori hanno deciso di continuare l'attività con grandi sacrifici, per mantenere in vita una voce. E Grillo sicuramente non sa [o non lo capisce?] che il mercato non sempre è regolato da norme di mercato; ma è una realtà inafferrabile, che distingue, separa, discrimina. Per esempio tende a negare un soggetto con una personalità troppo forte come il manifesto [e tante altre cooperative o giornali politici con noi], che ha solo l'11,7 per cento di entrate pubblicitarie, malgrado sia un giornale che ha un fortissimo legame con i suoi lettori [e perciò gode di una rilevante influenza su di essi]. Ma può stare in piedi un tavolo con due sole gambe, come sono le testate discriminate sul mercato della pubblicità?
I contributi diretti sono nati per correggere una distorsione del mercato e garantire la sopravvivenza di voci, che altrimenti sarebbero state cancellate [spesso voci dalla parte del torto]. Il predominio esclusivo del mercato significherebbe oggi una riduzione inaccettabile del pluralismo, in una fase in cui la vecchia talpa del capitalismo sta scavando già troppo a fondo. Dispiace che un comico che è stato discriminato per ragioni politiche da quello che allora era il monopolio televisivo sia diventato il primo sostenitore del mercato su una materia vitale come l'informazione. È nel mercato, infatti, che oggi nascono i nuovi tychoons, che aspirano al dominio anche politico del paese. E l'informazione dovrebbe essere messa al riparo dai poteri forti, e il pluralismo garantito, come vuole la Costituzione. E' un caso che nel nome della libertà sia stata costruita in Italia una casa, che spinge il paese ad una regressione culturale e politica da paura? Siamo pronti, in ogni momento a discutere con Grillo della libertà d'informazione.
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