lunedì 12 maggio 2008

Cosa vogliono i Siciliani/1 parte

Palermo:i Siciliani in armi dinanzi alla Cattedrale (14-25 gennaio 1848)
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Pubblichiamo in 2 parti "Cosa Vogliono i Siciliani",scritto dal 'avvocato Natale Turco e pubblicato nei primi anni '80 dal distretto di Catania del Fronte Nazionale Siciliano-Sicilia Indipendente. Nonostante siano trascorsi più di 25 anni dalla sua realizzazione,il contenuto del volumetto è attualissimo.
Introduzione
E'ampiamente dimostrato che il popolo di Sicilia è stato sempre un accanito difensore della Libertà: cioè di quel principio morale, spirituale e politico che s'identifica con la dignità dell'uomo e con l'essenza di ogni Comunità, che ha valore di categoria universale, e che l'Organizzazione delle Nazioni Unite, nel 1945, per salvare le future generazioni dal flagello della guerra, ha posto a fondamento del volontario patto comunitario. L'art.1 della Carta afferma infatti che il suo scopo prioritario è quello di mantenere la pace e la sicurezza internazionale e di sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli, fondate sul rispetto del principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'auto-decisioni dei popoli. In forza di questo stesso principio che ha le sue radici nel diritto naturale degli uomini e delle Genti, la Sicilia ha lottato e continua a lottare per il riscatto della sua Libertà.
Storia e diritto
Ducezio. L'alba della libertà
Nel V secolo a.C. Ducezio guidò i Siculi contro la prevaricatrice colonizzazione greca della fascia orientale dell'Isola: Gelone di Siracusa e Terone di Agrigento salvarono l'Occidente nel 479, con la vittoria di Imera: Ermocrate, Dionisio, Timoleonte, Agatocle e Pirro respinsero le pretese cartaginesi dal IV al III secolo a.C.; e dopo la caduta di Siracusa, fu ancora tutto il popolo Siciliano, sia pur ridotto in schiavitù, ad accorrere in massa nella I e nella II guerra di liberazione che ebbe i suoi capi in
Euno, in Salvio e in Atenione dal 139 al 91 a.C. Fino al tramonto del III secolo d.C., durante i regni di Cesare Ottaviano Augusto, di Tiberio, di Nerone e di Licinio Gallieno, i Siciliani continuarono a sollevarsi per il ripristino della propria libertà, mentre non è da dimenticare che i maggiori giuristi e le stesse leggi della Repubblica romana avevano riconosciuto che la nazionalità dei Siculi era <<>> a quella romano-italica di tutti gli altri abitanti della penisola.
La crescita della Nazione Siciliana.
Quando poi la spinta dei popoli indo-germanici determinò il crollo dello Stato romano d'Occidente e della sua mostruosa organizzazione carceraria, anche la Sicilia si vide libera, nel 469, per lo sbarco dei Vandali. Vandali, Goti e Ostrogoti si mostrarono civilissimi con i Siciliani: e, nei settant'anni durante i quali vi ebbero giurisdizione, nell'Isola regnò la pace e il lavoro. L'artigianato, il commercio e l'agricoltura rifiorirono per completo e tutte le città poterono ricostituire quei loro organi amministrativi autonomi che il nefando dominio coloniale di Roma aveva svuotato di ogni dignità curiale. L'accorta politica economica di Odoacre e di Teodorico, risparmiando tra l'altro ai Siciliani il peso di tutti i gravami fiscali che li avevano dissanguati per il passato, assicurò all'Italia la sopravvivenza alimentare.Ma il folle sogno giustinianeo della ricostituzione dell' Impero romano doveva ostruire ancora per secoli la lunga marcia del nostro popolo verso la libertà; i Bizantini, infatti, invasero l'Isola nel 535 e la tennero fino alla metà del IX secolo. Si deve tuttavia riconoscere, che , a differenza di quella per l'Italia, Giustiniano promulgò per la Sicilia una particolare Costituzione, anteriormente al 554: che fino ai primi decenni del VII secolo l'Isola ebbe un'amministrazione civile, militare e finanziaria propria, e che la profonda riforma dello Stato bizantino, dal VII secolo in avanti, riconobbe esplicitamente la personalità etnica , politica e territoriale dell'Isola, col farne appunto uno dei ventinove distretti autonomi nei quali si articolò. Questi motivi di grande valore storico e giuridico dimostrano che anche Bisanzio, dopo Roma, riconobbe il passato e il diritto sovrano della Sicilia, oltre che la sua formidabile collocazione geo-politica nel Mediterraneo.
Ciò però non poteva bastare a un popolo che non ha mai rinunciato all'indipendenza, e la sfida all'egemonia burocratica e militare della grande potenza bizantina si ebbe regolarmente nelle sollevazioni del 668, del 716 e del 781.Nell'827, infine, il moto capeggiato da Eufemio riuscì in gran parte allo scopo, con l'aiuto degli Arabi; e se il destino volle che Eufemio morisse un anno dopo, sotto le mura di Enna, il fatto che dal 947 si costituì nell'Isola un Emirato siciliano ereditario e indipendente dall'impero Islamico è di per sé abbastanza dimostrativo del progresso sostanziale della Nazione verso la sua mèta storica. In ogni caso, la pacifica coesistenza di razze, di costumi e di religioni; il rispetto più assoluto della libertà individuale, della proprietà privata e delle singole attività; l'incessante crescita culturale e tecnologica; il benessere economico raggiunto da tutte le classi tra il IX e l'XI secolo sono i dati positivi che, in quel periodo di barbarie, di schiavitù e di fame per l'Italia e l'Europa, si registrano solo per la Sicilia araba.
Sicilia: Il primo Stato d'Europa.
All'inizio del Medio Evo, la marcia di avvicinamento di una nazione al suo traguardo di libertà non può essere vista ancora come una linea retta tra il suo più remoto punto di partenza e quello d'arrivo: ma, specie se il suo territorio è fatalmente un luogo di scontri di civiltà e d'interessi come la Sicilia, segue evidentemente un itinerario che spesse volte ha tutte le sinuosità di un geroglifico. E già all'inizio del Medio Evo, questa Nazione mediterranea, che il genocidio dei romani aveva fatto regredire per un millennio, stava per cingere, prima in Europa, il titolo di Stato. L'epopea del conquisto normanno durò trent'anni, da Messina a Noto; ma nella notte di Natale del 1130, con la sfarzosa incoronazione di Ruggiero II, nasceva alfine il Regno di Sicilia: cioè quel primo Stato della Cristianità, le cui strutture fondamentali, -- Parlamento, Bandiera, Moneta, Esercito --, sarebbero rimaste intatte per oltre sette secoli, sia pure con fortune alterne.
Sette secoli di sovranità.
Da quel momento storico trentasei sovrani si succedettero al reggimento di questo Stato fino al 1836, e all'atto stesso di riceverne la Corona tutti giurarono fedeltà e rispetto alle sue Costituzioni. Mancarono alla parola data Carlo I d'Angiò e Ferdinando III di Borbone: ma mentre il primo venne cacciato a furor di popolo nel lunedì di Pasqua del 1282, la dinastia dello spergiuro Ferdinando, che aveva consumato l'infamia dell'inserimento dell'art. 104 nel Trattato di Vienna, fu dichiarata decaduta dal Parlamento nel 1848. Anche durante il periodo più triste dei vicerè, il Parlamento Siciliano continuò ad esercitare un'azione notevole in difesa dei diritti di sovranità dell'Isola; gli stessi moti e le sollevazioni popolari di Palermo, di Messina, di Bivona e di tante e tante altre città lungo tutto il XVII e il XVIII secolo non ebbero soltanto intenti antispagnoli ma, dalle anguste questioni di politica municipale, si librarono a quella generale dell'Indipendenza. E quando il moto generale trasformò il vecchio Parlamento feudale nel nuovo Parlamento fondato sul principio di rappresentanza e sul sistema elettorale, il risultato storico di quelle lotte fu la Costituzione del 25 maggio 1812, che segnò il rientro della Nazione Siciliana tra gli Stati più civili e democratici del mondo moderno.
La lotta ai tiranni.
Il disastro di Waterloo permise ancora alla restaurazione conservatrice degli austro-inglesi di riportare a Napoli Ferdinando III, il quale, ben deciso questa volta a eliminare ogni segno della nostra identità nazionale, pensò addirittura di abolire la gloriosa Bandiera della Sicilia e di abbattere il titolo stesso dello Stato con i due assurdi decreti del 15 maggio e dell' 8 dicembre 1816. Riprese dunque la lotta dei nostri padri, con le congiure e le Rivoluzioni del 1820-'21, del 1831, del 1837, del 1847, e con l'epica Guerra di popolo che il Comitato Generale dell'Insurrezione, assunti tutti i poteri di Governo provvisorio dell'Isola, dichiarò al Bombardatore il 12 gennaio 1848.
Il calvario dell'annessione.
Nel risveglio europeo della seconda metà del secolo XIX si giunge così alla colossale truffa dell'operazione ordita nel 1860 dalla "Società Italiana" del Cavour, e con la quale si apre l'ultima pagina della storia contemporanea di questo popolo, che ha dato al mondo, per venticinque secoli chiare lezioni di diritto pubblico e sul diritto dei popoli all'autogoverno. Con il decreto dittatoriale del 15 ottobre 1860, vittime della "liberazione garibaldina" furono i Siciliani: che come mandria di porci vennero 'annessi' al regno di Vittorio Emanuele II senza nessuna consultazione elettorale; quando questa vi fu, sei giorni dopo la pubblicazione di quel decreto "repubblicano", essa ebbe soltanto tutti i crismi di una beffarda tacitazione mafiosa della loro volontà civile e politica. Ma da quello stesso 1860, come d'altronde nel 1863, nel 1866, nel 1893-'94 e come ancora nel quadriennio 1943-'46, questa libera volontà popolare continua a dare al mondo manifestazioni che non lasciano dubbi sull'interpretazione dell'anima collettiva dei Siciliani, della loro storia e del loro diritto: i Siciliani vogliono l'indipendenza della loro Terra.
(1-continua)

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