martedì 1 aprile 2008

SINTESI DELLA STORIA DELL'UCK,a cura di AHMET QERIQI,direttore di RADIO KOSOVA E LIBERTA'/2

2)"(Quello che segue è il commento di Christophe Chatelot, su alcuni fatti che hanno riguardato realmente l'UÇK nell'aprile del 1999. L'articolo,pubblicato su "Le Monde",essendo chiaramente l´autore non è di parte kosovara, acquista un valore eccezionale di testimonianza. A.Q. )
IL MISTERO DELL'UCK di Christophe Chatelot - ("Le Monde", 15 aprile 1999)Per gentile concessione de "I BALCANI" Notizie e analisi sulla penisola balcanica L'esercito jugoslavo aveva strombazzato che non gli ci sarebbero voluti più di quattro giorni per "liquidare" i ribelli dell'UCK se gli fosse stata data mano libera. Si era ancora prima dei raid aerei della NATO sulla Jugoslavia, iniziati il 24 marzo. Dopo tale data, le forze serbe hanno proseguito e stanno ancora proseguendo le loro offensive contro i partigiani dell'Ushtria Clirimtare e Kosoves (UCK), una prova del fatto che il compito si sta rivelando più complicato di quanto non si fosse pensato all'inizio, nonostante l'esercito si trovi ad affrontare dei ribelli albanesi scarsamente addestrati e sommariamente armati, ma aiutati dalla topografia di un terreno montagnoso. L'UCK continua dunque a resistere. Ma si rintana in nascondigli per sfuggire alla potenza del fuoco serbo. "Ci sono delle piccole sacche di resistenza, delle azioni di guerriglia", ha recentemente indicato il generale di brigata della NATO, David Wilby.Il principale problema dell'UCK è quello di non potere più contare sull'appoggio della popolazione locale nella quale era immerso. La guerriglia trovava nei villaggi del Kosovo l'appoggio logistico indispensabile per garantire l'approvvigionamento delle proprie truppe con uomini e cibo, i contatti necessari lungo i percorsi di rifornimento delle armi provenienti dall'Albania e dalla Macedonia e tonnellate di informazioni che gli permettevano di evitare incursioni della polizia serba nei suoi "territori liberati".A partire dall'offensiva dell'estate scorsa, i serbi avevano cominciato a tagliare i collegamenti dell'UCK con le sue basi. Radicalmente. Sulla frontiera albanese, innanzitutto, la lunga e sinistra fila di villaggi in rovina da Djakovica a Decani testimonia la "tecnica" applicata: la pulizia facendo il vuoto. Dopo l'avvio degli attacchi della NATO, i serbi sono passati a ritmi ancora più intensi, organizzando l'esodo di più di mezzo milione di persone verso l'estero. Un numero equivalente, senza dubbi, vagabonda per il Kosovo, sulle strade, nei boschi o sulle montagne. In qualche mese, centinaia di villaggi sono stati sistematicamente svuotati dei loro abitanti e bruciati.Secondo dei militari occidentali, una fascia di territorio dell'ampiezza di 14 chilometri lungo la frontiera albanese e un'altra, più stretta, verso la Macedonia, sono state totalmente "ripulite" dalle forze serbe e minate. Ogni incursione dei ribelli albanesi che parta dalle loro retrovie in Macedonia o nell'Albania del nord, soprattutto, è diventata un gioco alla roulette russa. All'inizio della settimana, l'agenzia ufficiale jugoslava, Tanjug, annunciava infatti che almeno 150 "terroristi" - termine utilizzato da Belgrado per designare i membri dell'UCK - che stavano tentando un'incursione sono stati "liquidati" dall'esercito jugoslavo a ovest di Djakovica (sud-ovest del Kosovo).Secondo svariate fonti militari occidentali in contatto con l'UCK, la ribellione rischia di essere fra breve a corto di munizioni, visto che disporrebbe sì di scorte nei paesi limitrofi, ma tali scorte sono temporaneamente inaccessibili. L'UCK avrebbe lanciato una appello per chiedere alla NATO che gli paracaduti delle armi o che gli apra e gli assicuri un corridoio di rifornimento.Nei fatti, l'UCK rimane scarsamente organizzata. In un primo momento, ha fatto largamente ricorso alle grandi quantità di armi saccheggiate negli arsenali albanesi durante i moti della primavera del 1997. Secondo un rapporto dell'ONU, 650.000 armi, 2.000 tonnellate di esplosivi, 15,5 milioni di munizioni sono stati in quell'occasione trafugati. Sempre secondo le Nazioni Unite, 200.000 di queste armi avrebbero preso la via del Kosovo. Successivamente, l'UCK ha cominciato a diversificare le proprie fonti di approvvigionamento al fine di acquisire armi di migliore qualità rispetto agli "archeologici" AK47 albanesi. "L'UCK rimane equipaggiata di armi leggere, di qualche lanciamissili anticarro, di fucili con mirino e forse di qualche missile leggero, ma non dispone di nulla che possa realmente inquietare l'artiglieria e i blindati serbi", stimano tuttavia gli esperti americani del Centro per gli studi strategici internazionali (CSIS)."Non abbiamo bisogno di truppe della NATO, abbiamo bisogno di armi anticarro. Dopo di che potremo avviare l'offensiva e fare il lavoro da soli", ha recentemente dichiarato a diplomatici americani Xheladin Gashi, capo delle operazioni dell'UCK. Militari e politici occidentali non condividono questa visione. L'UCK ha commesso l'errore di volere conservare il controllo di territori (senza avere i mezzi per proteggere la popolazione) e di affrontare l'esercito e la polizia su diversi teatri operativi. Se l'Esercito di Liberazione ha sicuramente sopravvalutato le sue forze, è stato tuttavia anche vittima di una mancanza cronica di organizzazione. Le strutture claniche interferiscono con il potere militare, la suddivisione del Kosovo in sette zone operative e molte sub-zone è più teorica che reale. Sembra che lo stesso valga anche per gli "stati generali", che sfoggiano due direttori, uno detto "operativo" (militare), l'altro "politico". La nomina, durante i negoziati di Rambouillet in febbraio, di un comandante supremo, nella persona del giovane Sulejman Selimi, aveva anch'essa lasciato molto dubbiosi. "L'organigramma del comando dell'UCK, che noi stiamo cercando di tracciare, corrisponde più a un sogno che a una realtà sul terreno", confessa uno specialista di intelligence.Se riconoscono che l'UCK in questi ultimi mesi si è agguerrita optando soprattutto per la guerriglia, essi dubitano ancora delle sue capacità di combattimento. Per il momento, l'UCK deve quindi essenzialmente contare sulle sue proprie forze. Dispone a tale fine di circa 10.000 combattenti in Kosovo - di cui solamente 500 bene addestrati - e di un pugno di ex ufficiali della JNA, l'ex esercito federale jugoslavo. Nel corso delle ultime settimane, affluiscono volontari da ogni angolo del mondo. Dei servizi segreti occidentali stimano che circa 20.000 uomini si stiano attualmente addestrando in Albania, in particolare nei campi organizzati nella regione di Tropoje, di Elbasan e di Kukes, che sfuggono in gran parte al controllo delle autorità centrali di Tirana fin dal 1997.La comunità internazionale non sembra ansiosa di sostenere a tutti costi questa ribellione sulla quale si pone ancora molte domande. Un odore di zolfo aleggia quindi su parte dei suoi circuiti di finanziamento. Dall'inizio degli anni '90 i kosovari sono infatti molto attivi nel traffico di stupefacenti, soprattutto in Germania e in Svizzera, dove avrebbero spodestato le reti turche sul mercato dell'eroina. Da questo all'utilizzo di tali soldi sporchi per l'acquisto di armi - dopo che sono serviti al finanziamento degli investimenti "civili" prima dello scoppio delle ostilità - ci vuole solo un passo.L'inviato americano per i Balcani, l'ambasciatore Richard Hill, nel corso di un'intervista a La Croix, pubblicata il 25 febbraio, formulava un'altra preoccupazione: "L'Esercito di Liberazione del Kosovo è venuto ai negoziati [di Rambouillet] con l'idea che non avrebbe fatto altro che firmare un accordo di cessate il fuoco. Successivamente, le forze della NATO si sarebbero dispiegate, dandogli [all'UCK - N.d.A.] il tempo di ricompattarsi, di riarmarsi e di addestrarsi". "L'UCK deve comprendere che i suoi membri hanno un futuro come membri di partiti politici o della polizia locale, ma non nel proseguimento della lotta armata", ha aggiunto.Rimane da chiare su quale terreno politico si colloca l'UCK, che intrattiene dei rapporti deliberatamente oscuri con il Movimento Popolare del Kosovo (LPK), nato dalla fusione di diversi gruppuscoli marxisti-leninisti attirati dal nazional-comunismo di Enver Hoxha, il dittatore della "madre patria" albanese morto nel 1985. Secondo uno dei suoi dirigenti, lo LPK è stato creato a Pristina nel 1982 in seguito alle manifestazioni dei nazionalisti albanesi dell'anno precedenti. Le rivendicazioni albanesi vertevano allora sul riconoscimento di questa provincia come settima repubblica della federazione, con gli stessi diritti di cui godevano all'epoca la Serbia, la Slovenia, la Croazia, la Bosnia, il Montenegro e la Macedonia. La presidenza collegiale jugoslava ha represso queste agitazioni nel sangue. Seimila albanesi sono stati successivamente condannati per "moti controrivoluzionari" a pene che arrivavano fino a venti anni di prigione, mentre altri 22.000 ad arresti amministrativi da trenta a sessanta giorni. Questa repressione era un anticipo della politica del bastone che Belgrado non avrebbe cessato di applicare fino alla soppressione dell'autonomia nel 1990 e, successivamente, con l'intervento armato nel 1998. "Ogni volta che un prigioniero veniva torturato, nasceva e si sviluppava un piccolo pezzo dell'UCK...", racconta Bardyl Mahmuti, membro dello LPK, definito "esterno", ed ex dirigente del movimento clandestino fino al suo esilio in Svizzera, nel gennaio 1990 (si veda "Kosovo, naissance d'une lutte armée", di Patrick Denaud e Valérie Pras, ed. L'Harmattan, febbraio 1999). Slobodan Milosevic è senza alcun dubbio il migliore sergente reclutatore dell'UCK, i cui effettivi sono andati progressivamente aumentando con l'intensificarsi della repressione serba.L'Esercito di liberazione si è fatto vedere per la prima volta, nel 1993, con l'uccisione di due poliziotti serbi nella Drenica, focolaio storico del nazionalismo albanese, a ovest di Pristina. A partire dalla fine del 1995 e fino al 1997 ha rivendicato, via fax, decine di attentati antiserbi e contro albanesi fedeli al regime di Belgrado. Poiché non se ne sapeva nulla di più, l'UCK ottiene un soprannome: "l'organizzazione fax". E' il 28 novembre 1997 che esso fa la sua prima comparsa fisica. Di fronte ad alcune migliaia di persone riunitesi in occasione del funerale di un albanese, Haljit Geci - "morto in combattimento" - tre uomini si dichiarano membri dell'UCK e chiamano al "proseguimento della lotta per la liberazione del Kosovo".Ma per molti mesi ancora la realtà di questa organizzazione verrà contestata, in particolare dal dirigente albanese moderato, Ibrahim Rugova. Egli non ha escluso, allora, che l'UCK fosse "una manovra dei servizi segreti serbi", sospettati di averla creata per giustificare la politica di repressione di Belgrado nella Kosova. Il mito dell'UCK, tuttavia, non ha cessato di ingrandirsi, con i suoi martiri e i suoi eroi, come Adem Jashari, presentato come uno dei fondatori dell'UCK e caduto, nel marzo 1998, con le armi in pugno, insieme ad altri cinquantatre membri della sua famiglia, tra cui donne e bambini, sotto gli assalti delle forze speciali serbe. La svolta militare avviene per l'UCK all'inizio del 1998. Le forze serbe moltiplicano gli attacchi alla Kosova. La loro violenza mise in rilievo l'empasse nella quale il pacifismo di Ibrahim Rugova era stato guidato dal presidente jugoslavo, Slobodan Milosevic. L'UCK si impone come una delle alternative e si dà da fare, parallelamente, per marginalizzare la Lega Democratica di Rugova. In qualche mese, gli effettivi dell'UCK passano da poche centinaia di membri ad svariate migliaia di combattenti. Nella primavera del 1998, si afferma che l'UCK controlla più del 30% del territorio, senza mai avere riportato una vittoria nei confronti dei serbi. Il tempo del riconoscimento internazionale verrà dopo. Hashim Thaci, uno dei giovani comandanti dell'UCK (guidato nell'ombra dal discreto Xhavit Haliti della LPK), dirigerà così la delegazione albanese a Rambouillet."La LPK può essere considerata come l'ala politica dell'UCK? Non si può rispondere esattamente, a meno che la LPK o l'UCK non lo confermino", ha fatto notare recentemente il settimanale in lingua albanese Koha. La LPK, fortemente rappresentato all'interno delle potenti diaspore albanesi in Svizzera e in Germania, non può negare di avere dei legami come minimo privilegiati con l'Esercito di Liberazione. "Da quando ha fatto la sua comparsa l'UCK, lo LPK si è dato tre obiettivi: sostenerlo moralmente, politicamente e finanziariamente", riconosce Mahmuti. Nel 1997, la LPK fonda, tra le altre cose, l'associazione La Patria Chiama, incaricata di raccogliere in svariati paesi d'Europa, tra i quali la Francia, i fondi da fare pervenire alla guerriglia. Quando il 13 agosto 1998 l'UCK nomina sei rappresentanti politici, tre di loro, almeno, tra i quali Bardhyl Mahmuti, vengono scelti tra le fila della LPK. Oggi, gli ex prigionieri politici affiancano una nuova generazione di combattenti senza dubbio meno mossi dalla nostalgia per lo "zio" Enver Hoxha e più dalla sacrosanta lotta per l'indipendenza e la vendetta contro le violenze serbe.
"L'UCK si trova oggi in una situazione difficile. E' ormai una forza combattente ridotta", stima il generale di brigata David Wilby.
"Ma è un movimento che non scomparirà".
Non vi sono dubbi che svolgerà un ruolo nella ricerca di una soluzione per il Kosovo. Ma più il tempo passa e meno sarà facile fargli deporre le armi e accettare qualcosa di meno dell'indipendenza". (continua)
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