giovedì 8 gennaio 2009

8 GENNAIO 1993,TRE COLPI DI PISTOLA PER IL GIORNALISTA BEPPE ALFANO...

Il corpo di Beppe viene trovato intorno alle 22,30, al posto di guida della sua Renault, accostata nella centrale via Marconi, a pochi passi da casa sua.
L’auto ha ancora le luci accese e il cambio in folle.
Il finestrino, attraverso il quale sono stati sparati i tre colpi di pistola, è abbassato, come se l’uomo stesse parlando con qualcuno.
Alfano aveva 42 anni, era professore di educazione tecnica alla scuola media della vicina Terme Vigliatore, ma, soprattutto, era un giornalista,scriveva per il quotidiano "La Sicilia" di Catania.
Dopo averne eseguito la condanna a morte, la mafia ha cercato di distruggere anche la sua memoria.
Perché anche il semplice ricordo di un uomo coraggioso può essere pericoloso per i boss.
Ed ecco, allora, i tentativi di depistare le indagini, di negare la matrice mafiosa del delitto anche, se necessario, infangando la figura del professore.
Il silenzio che cala intorno alla sua storia.
L’isolamento in cui viene abbandonata la sua famiglia.
Tacciono le istituzioni, ma tacciono anche quelli che erano stati vicini al giornalista prima della sua morte.
Dagli ex compagni di partito dell’Msi ai colleghi del giornale La Sicilia. Fin quando, grazie alle battaglie condotte dalla figlia Sonia, con il sostegno dell’avvocato Fabio Repici e di sempre più numerosi cittadini, le indagini sull’omicidio vengono riaperte e il sacrificio di Alfano per la verità e la giustizia comincia ad essere riconosciuto, da Barcellona, alla Sicilia, all’Italia...
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Giornalisti uccisi dalla mafia

di Gianfranco Bonofiglio ( http://www.democrazialegalita.it ) La libertà dell'informazione e soprattutto di quell'informazione impegnata a far crescere la cultura della legalità e che, anche negli ultimi tempi, è sottoposta agli ennesimi tentativi di controllo e censura, ripropone il dilemma del ruolo reale che il giornalismo può assurgere nella lotta per la verità. Ed il caso di ricordare la storia di coloro i quali credendo fermamente nel ruolo del giornalismo nella lotta alla criminalità, nella lotta alle mafie, hanno immolato la propria vita.
Nove i giornalisti caduti sotto il piombo della mafia.
Nove storie diverse ma accomunate da un comune tragico destino e dalla comune esigenza di verità.
Dal primo omicidio che risale al lontano 5 maggio 1960 di Cosimo Cristina, collaboratore con "L'Ora"di Palermo all'omicidio di Beppe Alfano, corrispondente del quotidiano di Catania"La Sicilia" avvenuto l'8 maggio 1993.
Il cadavere di Cosimo Cristina venne trovato in una galleria ferroviaria ed archiviato quale"suicidio". Solo dopo alcuni anni il vicequestore Angelo Mangano, divenuto in seguito famoso per l'arresto di Luciano Liggio, volle indagare richiedendo l'esumazione del cadavere per supportare la tesi che non fosse suicidio ma omicidio: Un mistero fra i tanti misteri non risolti della Madonne di Sicilia.
Pochi giorni prima di morire Cristina pubblicò un articolo su un periodico autoprodotto"Prospettive Siciliane" nel quale ricostruì un delitto di mafia avvenuto a Termini Imerese.
Il 16 settembre 1970 viene prelevato sotto casa a Palermo Mauro De Mauro. Da allora scomparve nel nulla.
Cronista di razza, per conto del quotidiano del pomeriggio, "L'Ora" di Palermo, venne eliminato molto probabilmente perché aveva scoperto la verità sulla morte di Enrico Mattei, il presidente dell'Eni schiantatosi nel 1962 con il suo aereo nelle campagne di Bescapè, con una dinamica dai mille misteri.
Aveva appena pubblicato una interessante inchiesta sui rapporti fra mafia e gruppi eversivi. Di recente alcuni pentiti di 'ndrangheta affermarono che il corpo del giornalista era stato seppellito sull'Aspromonte, ma non è stato possibile a tanti anni di distanza, verificarne l'attendibilità. Giovanni Spampinato, giornalista de "L'Ora" e "L'Unità" ad appena ventidue anni è stato ucciso il 27 ottobre 1972 mentre era impegnato a far conoscere con le sue brillanti inchieste l'intreccio di affari, trame neofasciste e malavita nella città di Ragusa. Per il suo omicidio venne condannato Roberto Cambria , figlio di un alto magistrato, allora Presidente del Tribunale di Ragusa.
Il 9 maggio 1978, nello stesso giorno in cui venne ritrovato il cadavere di Aldo Moro, venne rinvenuto il corpo dilaniato da un esplosione di Peppino Impastato, che, pur non essendo iscritto all'albo dei giornalisti, iscrizione che gli venne tributata alla sua memoria, venne ucciso dalla mafia anche per la sua attività di denuncia condotta con "Radio Out".
Mario Francese, cronista giudiziario de "Il Giornale di Sicilia", venne freddato la sera del 26 gennaio 1979. Fu il primo giornalista a denunciare la pericolosità dei corleonesi di Totò Riina. Dopo ben 22 anni, nel 2001, sono stati condannati i componenti della cupola che decisero l'eliminazione dello scomodo giornalista. Riina, Madonna, Cagarella, Calò, Geraci, Farinella e Greco, l'intero vertice di Cosa Nostra. Giuseppe Fava, giornalista, venne assassinato il 5 gennaio 1984 nei pressi del Teatro Stabiledi Catania. Aveva fondato "I Siciliani", un giornale aggressivo che attaccò frontalmente i grandi gestori degli appalti di Catania, in odor di mafia.
Il 25 settembre 1985 viene eliminato dai sicari della Camorra, Giancarlo Siani a soli ventisei anni.
Corrispondente de "Il Mattino" di Napoli aveva denunciato alcuni traffici di Torre Annunziata. Per la sua morte sono stati condannati quali mandanti i boss Valentino Gionta e Angelo Nuvoletta.
Il 26 settembre 1988 nelle campagne di Lenz, frazione di Valderice in provincia di Trapani, viene freddato Mauro Rostagno. Molte le ipotesi che hanno accompagnato i vari filoni di indagine anche per la complessa personalità di Rostagno, ma, alla fine si è indagato sulla responsabilità di personaggi di mafia come Vincenzo Virga e Mariano Agate, infastiditi per le denunce che Mauro Rostagno diffondeva con la conduzione di una trasmissione televisiva inonda su una emittente privata trapanese.
L'8 gennaio 1993 cadeva sull'altare della lotta contro i poteri mafiosi Beppe Alfano, corrispondente del quotidiano"La Sicilia" da Barcellona Pozzo di Gotto, un popoloso comune del parco dei Nebrodi in provincia di Messina. Ebbe il coraggio di pubblicare i lati oscuri dei grandi appalti pubblici dell'asse Messina– Palermo.
Nove vite spezzate nel nome della verità.
Nove storie da non dimenticare.
Contro chi vuole un giornalismo imbavagliato ed ossequioso al potere.
Nove icone per un mondo migliore.
Un mondo possibile.

Contro l'oblio e l'indifferenza.

1 commento:

Abate Vella ha detto...

Difficile accettare il punto di vista di chi ha scritto il resoconto sui giornalisti uccisi in Sicilia.

Voglio solo sperare che chi cerca ancora di nascondere la verita' lo faccia senza rendersene conto ed in buona fede.

Questi sono omicidi di stato. La mafia ha solo premuto il grilletto. Questo e' il trattamento riservato dai servizi di sicurezza italiani a dei Siciliani che lottavano per la loro Terra.