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domenica 8 marzo 2009

NON SOLO MIMOSE................

Le origini della festa dell'8 Marzo risalgono al lontano 1908, quando, pochi giorni prima di questa data, a New York, le operaie dell'industria tessile Cotton scioperarono per protestare contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare.
Lo sciopero si protrasse per alcuni giorni, finché l'8 marzo il proprietario Mr. Johnson, bloccò tutte le porte della fabbrica per impedire alle operaie di uscire.
Allo stabilimento venne appiccato il fuoco e le 129 operaie prigioniere all'interno morirono arse dalle fiamme. Successivamente questa data venne proposta come giornata di lotta internazionale, a favore delle donne, da Rosa Luxemburg(nella foto),proprio in ricordo della tragedia.

mercoledì 26 novembre 2008

Indossa l'Abaya,il rock "rosa" saudita contro la droga!

Sopra i jeans a vita bassa porta l'«Abaya»
Il rock é «rosa» in Arabia saudita
La prima band rock del Paese è tutta al femminile. Ha un profilo su MySpace, ma prova in segreto in una cantina.
L'Abaya è una veste nera che copre interamente il corpo, tipico capo saudita mirato anche a celare le curve femminili. Dina, Lamia, Amjad e Dareen la indossano quando si esibiscono nei loro concerti, rigorosamente in locali underground di Jedda, «per non offendere le autorità religiose».
Le quattro ragazze appartenenti al gruppo The Accolade, come racconta il corrispondente del New York Times Robert F. Worth, hanno appena inciso Pinocchio, il loro primo Lp dal titolo simbolico che sta imperversando in rete. Come la maggior parte dei teenagers del momento, vantano un profilo su MySpace, ma le loro performance avvengono in clandestinità e non possono essere fotografate. La loro colpa è di suonare il rock, con l'aggravante di essere donne.
UN PAESE GIOVANE – Del resto il contrasto nel regno saudita è molto forte: da una parte le donne non possono nemmeno guidare e il rock viene visto come una forma estrema di corruzione, dall'altra una persona su dieci ha un'età inferiore ai 25 anni.

Il che si traduce in una diffusa voglia di libertà e in una certa intolleranza alle regole.
L'ultima esibizione di un band rock, nel 1995, era stata occasione per l'arresto di 300 giovani fan, intercettati dalla polizia religiosa davanti al locale del «concerto della perdizione». Ma le ragazze di The Accolade sono andate oltre e hanno deciso di sfidare anche l'ultimo e più radicato dei tabù, quello riguardante «il sesso debole».
La cosa più strana è che le quattro giovani donne della band, che hanno scelto come nome per il loro gruppo un'opera dell'amato pittore inglese Edmund Blair Leighton e amano mischiare sapientemente arte e musica, non sono per nulla delle rivoluzionarie e non hanno mai lasciato il proprio Paese di nascita.
NO ALLA DROGA - «Forse siamo pazze, ma vogliamo fare qualcosa di veramente diverso», sostiene la voce del gruppo, Limia, fiera del suo piercing. Ma poi la chitarrista, Dina, ci tiene a precisare: «Disapproviamo totalmente fumo, droga e alcol. E rispettiamo le nostre tradizioni».
Emanuela Di Pasqua

24 novembre 2008
*Fonte: http://www.corriere.it/




mercoledì 5 novembre 2008

La scrittrice Anilda Ibrahimi:"E' sbagliato che gli albanesi guardino all’Italia con ammirazione"

Anilda Ibrahimi, l'autrice di "Rosso come una sposa", si confessa e critica severamente l'Italia
Scritto da Sergio Bagnoli
ROMA- Una delle maggiori giovani letterate albanesi rivaluta in parte i tempi di Enver Hoxha e considera sbagliato che gli albanesi guardino all’Italia con ammirazione.

Il suo nome è Anilda Ibrahimi e viene da Valona dove è nata nel 1972. Dopo il crollo dell’economia del suo paese, successivo alla caduta del regime comunista di Enver Hoxha che aveva trasformato il piccolo paese d’oltre Adriatico in un’enorme cella d’isolamento, ha raccolto le sue povere cose e, come gran parte dei giovani albanesi, ha preso la strada dell’Italia.
Dotata di un naturale talento da scrittrice, poeta e giornalista è riuscita ad evitare le indicibili pene che la vita ha riservato a molte sue giovani compaesane, che o hanno visto infrangersi in un foglio di espulsione consegnato loro da un questurino qualsiasi ogni loro sogno italiano o ancora adesso sono vittime del pregiudizio italiano, e si è fatta strada. Dopo aver collaborato con un giornale in Svizzera, ha posto la sua dimora in Italia, a Roma dalle parti di Via Andrea Doria.

Pochi giorni fa ad una rivista letteraria ha rilasciato una sorprendente intervista in cui non solo rivalutava l’Albania di Hoxha, e criticava ferocemente l’Italia di oggi da lei definita cattiva e razzista, ma confutava gran parte delle idee che gli occidentali hanno sul modo di vita nel suo paese definendo quella albanese come un etnia evoluta e giungendo al paradosso di definire “il clima che si respirava nell’Albania della dittatura comunista non molto diverso da quello che si respira nell’Italia berlusconiana”.
Durissima con il nostro paese e con la comunità occidentale in genere, Anilda è tra l’altro membro del Consiglio nazionale italiano per i rifugiati, la scrittrice tosca afferma che l’Europa occidentale ha sottovalutato nel passato, e tuttora sta continuamente sottovalutando, la ferocia dei popoli dei Balcani occidentali e questo atteggiamento danneggia notevolmente l’immagine del suo popolo sia esso residente nei confini patri che in Kossovo od in Macedonia. Famosa in Italia per il romanzo “Rosso come una sposa” ambientato nell’Albania ottomana ed islamica di inizio novecento, nell’intervista concessa alla rivista letteraria Anilda si lascia andare ad affermazioni a dir poco stucchevoli, affermando che comunque l’isolazionista comunismo albanese di Enver Hoxha ha donato alla società albanese alcuni indiscutibili valori etici che altrove il capitalismo non ha portato. Il comunismo di Hoxha non è stato sanguinario e feroce come quello romeno di Ceausescu e ciò, secondo Anilda ed anche secondo molti albanesi, anche perché l’indole del suo popolo è profondamente diversa.
Per la scrittrice durante la dittatura poi la condizione dell’albanese medio era certamente migliore di quella dell’italiano medio di oggi.

“Tutti erano proprietari della casa in cui abitavano e la protezione sociale raggiungeva livelli vicini a quelli del Nord- Europa” ha detto la Ibrahimi che poi ha sottolineato come la condizione della donna albanese non fosse per niente subalterna come si tende a credere. L’osservanza del Kanun infatti sarebbe, secondo l’intellettuale del “paese delle aquile”, limitata solamente ad alcuni luoghi di montagna attorno a Scutari nel nord ghego.
L’intervista della scrittrice albanese ha suscitato molte polemiche sia in Italia che in Albania.

“Se davvero si stava così bene in Albania, perché allora più di trecentomila albanesi sono in vent’anni scappati in Italia, senza contare i clandestini che hanno alimentato il traffico della droga e della prostituzione” si chiedono polemicamente tanti italiani.
Le organizzazioni non governative albanesi sono ancora più severe e se, da una parte, con sommo disprezzo, preferiscono omettere ogni commento circa quanto detto dalla loro illustre compaesana, dall’altra confermano che, con la caduta del regime comunista, l’Albania è regredita ad uno stato primordiale, specialmente se si considera la questione femminile.
Gente come Flutura Xhabija, la presidentessa dell’Associazione delle donne imprenditrici albanesi, non ha esitato a definire l’Albania “il paese balcanico che meno sostiene l’impresa al femminile, tanto che non esiste neanche un sistema di credito facilitato come altrove”.

La situazione delle donne non può che definirsi preoccupante. Moikom Zeqo, archeologo, etnologo e antropologo albanese ha detto: “E’ assurdo vedere una tale inferiorità della donna, proprio nel paese dove le donne avevano il diritto di parificarsi agli uomini anche secondo il diritto tradizionale delle montagne, persino nei tempi più oscuri, quando il maschilismo era l’unico a dettare legge”.
Un’involuzione dunque quella della società albanese, risalente forse ai tempi in cui il piccolo stato mediterraneo fu invaso dai turchi.
Una situazione largamente deficitaria quella di Tirana sotto il profilo sociale ma che invece Anilda ha tentato disperatamente di rovesciare nella sua intervista.

In molti strati della comunità albanese residente in Italia sta crescendo infatti un senso di disagio e di acrimonia verso il paese ospitante accusato di non aver fatto nulla per aiutare Tirana ad entrare in Europa prima di altre nazioni come Romania e Bulgaria.
E’ una guerra tra poveri ma dimostra come l’attuale crisi economica abbia gettato gli albanesi immigrati in Italia nel terrore. Secondo la Bossi- Fini infatti un albanese, cittadino extra- comunitario, una volta licenziato per evitare l’espulsione dovrebbe trovare un altro lavoro entro sei mesi, non così un romeno od un polacco, cittadini comunitari a tutti gli effetti.

Questo è quanto gli albanesi non accettano.
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Fonte:http://www.albanianews.it/

venerdì 16 maggio 2008

Nje rumune perdhunohet ne Rome...

Dhuna nuk njeh komb: Një rumune përdhunohet në Romë, arrestohet një Italian
Një e re rumune, e cila punon në një ndërmarrje të shërbimeve, në Romë, është dhunuar në qendër të sheshit, Veskovio, ku e reja rumune punonte si pastruese. Dhunuesi një përgjegjës i kësaj qendre, një italian 39-vjeçar është arrestuar pak kohë më vonë nga policia… Mendoni se çfarë do të ndodhte po qe se dhunuesi do të kishte qenë rumun, ndërsa e dhunuara italiane…hapu qiell!
( Lajm i dërguar nga korrespondenti ynë në Sicilia, Orazio Vasta).
Rumena violentata a Roma, arrestato un italiano...Una ragazza rumena, dipendente di una cooperativa di servizi, OGGI A ROMA ,e' stata aggredita e violentata in un call center sito presso piazza Vescovio, dove la donna lavora come addetta alle pulizie. Il violentatore è il convivente della responsabile del call-center, un italiano di 39 anni, arrestato dalla polizia poco dopo...Se la donna fosse stata italiana e il bastardo violentatore rumeno...apriti cielo!
Orazio Vasta
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www.radiokosovaelire.com

giovedì 15 maggio 2008

LA VIOLENZA NON HA NAZIONALITA'!

Rumena violentata a Roma, arrestato un italiano...

Una ragazza rumena, dipendente di una cooperativa di servizi,


OGGI A ROMA ,e' stata aggredita e violentata in un call center

sito presso piazza Vescovio, dove la donna lavora come addetta

alle pulizie. Il violentatore è il convivente della responsabile del

call-center, un italiano di 39 anni, arrestato dalla polizia poco

dopo...

Se la donna fosse stata italiana e il bastardo violentatore

rumeno...apriti cielo!

IPOCRITI !


Orazio Vasta