venerdì 12 dicembre 2008

Israele e Palestina. "E' tempo di una teologia liberata,coraggiosa,ponte fra le storie e i mondi..."(di Khaled F.Allam)

Ricevo e pubblico con piena condivisione...
==============
Platone afferma nella "Repubblica" che le cose andranno sempre male in politica finché i filosofi non diventeranno re nella città o i re non diven-teranno seri filosofi. Ma quando il filosofo gioca a fare il re contraddicendo ogni spirito filosofico, è la saggezza che viene meno perdendosi nei meandri dell'ideologia. E ciò che lo scrittore Jean Paulhan ribadiva nel suo saggio "Il terrore nelle lettere".
Ed è ciò che è successo nella grave questione del boicottaggio alla presenza di Israele a Torino per la fiera del Libro.
Molti scrittori arabi e un famoso teologo dell'islam europeo, Tariq Ramadan, si sono opposti a quella presenza.
Io ho considerato molto pericolosa quella presa di posizione.
Non solo perché non distingue ciò che è uno stato nella sua formulazione politica da ciò che è uno stato in quanto comunità di culture, luogo in cui si scrive, si dipinge, si compone musica, nella gioia come nella sofferenza.
Vi è un altro elemento che considero fondamentale proprio per la riuscita di un dialogo fra i popoli e le culture, la questione della peculiarità dello stato di Israele: sono trascorsi sessant'anni dalla sua nascita, e se per molti della parte araba questo suona come una ferita, io ritengo che per noi arabi, anche arabi della diaspora, sia oggi necessario guardare a quell'evento da un'altra angolazione: vale a dire come la questione europea che si è delineata nel XX secolo con il dramma della Shoah.
Ciò è l'esperienza, impossibile da trasmettere, del male assoluto, della distruzione scientifica, «industriale», di un popolo, di una cultura, di una civiltà, che pone per l'Europa la questione della memoria.
Israele è anche una bandiera, un esercito, un governo, una democrazia, ma per me rappresenta essenzialmente quell'esperienza dei limiti, che hainterrogato e continua a interrogare l'Europa intera.
Ogni qualvolta rifletto su tutto ciò trovandomi nell'emiciclo del Parlamento italiano, mi vengono i brividi apensare che in quello stesso luogo sono state votate le leggi razziali.
Bisogna che noi arabi cominciamo a capire che per la coscienza europea quella è stata l'esperienza del male assoluto; di qui il debito di riconoscimento che si è creato fra Europa e Israele.
Tutti sappiamo che la presenza dello stato di Israele non cancella il conflitto attualmente in corso; ma la Fiera è stata un laboratorio di libertà per gli uomini per le culture; se viene meno questo, è l'umanità stessa che perde. Con ciò non si deve assolutamente occultare la questione del dramma palestinese, l'urgenza di uno stato palestinese capace di vivere democraticamente accanto allo stato di Israele.
Ma noi arabi, se vogliamo fare progressi, dobbiamo capire come sia fondamentale la questione dell'oblio e della memoria, del sangue e delle lacrime di un popolo martoriato che voleva anch'esso vivere pacificamente accanto agli altri popoli e che all'indomani di quella tragedia presentò al mondo un volto resuscitato.
Per noi arabi è troppo grande il rischio di lasciarsi guidare da ideologie cieche, che rischiano di sconfinare in un nuovo antisemitismo; è tempo ormai nel mondo musulmano di pensare ad una teologia che sia capace di accogliere la questione della memoria della Shoah, è tempo di una teologia liberata, coraggiosa, ponte fra le storie e i mondi, per le generazioni future, per spezzare il monopolio di un fondamentalismo che è per me un'altra nakba (disastro), una nakba del pensiero.
Khaled Fouad Allam

Nessun commento: